venerdì 29 luglio 2011

Tony Cragg, l'"impossibile" Grande mostra a Edimburgo


La Scottish Gallery of Modern Art celebra uno dei massimi scultori viventi. La prima grande antologica dopo oltre dieci anni, ripercorre la carriera del maestro


Organiche, biologiche, mutanti, quasi degli "X-Men" dell'arte. Lo spettacolo delle sculture "impossibili" di Tony Cragg, uno dei massimi scultori contemporanei viventi, va in scena alla Scottisch National Gallery of Modern art dal 30 luglio al 6 novembre. Ed è tutto da godere, in questa prima rassegna che un museo pubblico della sua terra gli dedica dopo oltre dieci anni. Protagoniste, sono cinquanta sculture gigantesche, abbinate ad un repertorio di disegni, che ripercorrono gli ultimi trent'anni anni di creatività, offrendo l'opportunità di scoprire proprio i lavori più recenti di un maestro che ha fatto della scultura un gioco delle meraviglie che sembra sfidare i virtuosismi della natura. 


Nato a Liverpool nel 1949, Cragg ha cominciato la sua carriera in modo insolito, come assistente di laboratorio, seguendo una serie di sperimentazioni sulle potenzialità dei materiali legati alla gomma. Studiava in parallelo arte (dalla metà degli anni '70 si è formato tra il Wimbledon College of Art e il Royal College of Art di London), e come ama ricordare, cominciò ad usare il disegno per capire meglio gli esperimenti, fino a quando i disegni non hanno preso il sopravvento e sono diventati una sfida più significativa degli esperimenti stessi in laboratorio. Ed è da questa propensione ad un'estetica visionariache Tony Cragg è diventato il demiurgo delle creature dalle forme più improbabili, quasi a emulare le potenzialità di quella "gomma" tanto manipolata in laboratorio, come evidenziano ora le sale espositive del museo e soprattutto i giardini. 

Quella di Cragg è una grande antologica che dà la percezione piena della grandiosità di questo genio della materia. Che sa assemblare  tasselli di materiali plastici di scarto per costruire sagome gigantesche di corridori, come il suo "Runner" del 1985. Che sa "manipolare" materiali come il ferro, il bronzo, la cera, la pietra colorata e legno cristallizzato, tutti materiali che infondono un'idea di apparente leggerezza per creare corpi che crescono a gemmazione continua, quasi ininterrotta (sculture che Cragg realizza a mano reclutando una squadra di assistenti per portarli a compimento). Che plasma sculture indefinibili che si afflosciano a terra dopo aver compiuto attorcigliamenti pindarici e convulsi. Sono opere plasmate nei più diversi materiali per sfoggiarne sempre una inaspettata malleabilità, che Tony Cragg elabora negli anni secondo serie tematiche che evolvono come vere e proprie creature viventi, tra le "Early Forms" (iniziate alla fine degli anni '80) e le "Rational Beings" in parallelo, caratterizzate da un'idea "genetica" di alte colonne dai contorni levigati come possibili profili umani che lo spettatore può cogliere girando intorno all'opera. Totem di legno cristallizzato dalla foggia precaria, obliqua, sbilenca, dai contorni molli. Passare in rassegna le opere di Cragg significa compiere un viaggio speleologico tra piramidi proteiformi che sembrano nate da sedimenti calcarei, e frammenti di roccia levigata dal vento ed erosa dall'acqua, quasi figlia del Grand Canyon. Opere, insomma, curiose, insolite, divertenti, ma anche sensuali e poetiche, in bilico tra vitalità estrema e forme paradossali, che sanno attrarre e incuriosire ogni spettatore in un dialogo diretto. Ma non finisce qui. Cinque ciclopiche sculture di Tony Cragg emergono d'improvviso nel giardino del museo. Ed è un tutt'uno con la natura.Notizie utili - "Tony Cragg. Sculptures and Drawings", dal 30 luglio al 6 novembre 2011, Scottisch national Gallery of Modern Art (sezione della Nation Gallery), Belford Road, EdimburgoOrari: tutti i giorni, 10-17.


FONTE: Laura Larcan (repubblica.it)

giovedì 28 luglio 2011

Haring da Milwaukee a Chieti Ecco il manifesto della street art


Dal Museo nazionale d'Abruzzo  arriva per la prima volta il Murale, la grande impresa d'arte pubblica che il padre del graffitismo americano realizzò nel 1983. Trenta metri di figure-icone, tra cani, bambini. breakdancers e televisori con le ali


Quella che fu la grande impresa d'arte pubblica di Keith Haring, genio del graffitismo stroncato nel 1990 dall'Aids ad appena trentadue anni, va in mostra al Museo archeologico nazionale d'Abruzzo La Civitella. Il cosiddetto "Murale di Milwaukee", un lavoro monumentale lungo complessivamente trenta metri e alto due e mezzo, che venne commissionato all'artista americano nel 1983, quando aveva appena venticinque anni, in occasione dell'apertura del Museo Haggerty di Milwaukee. Dal 30 luglio al 19 febbraio, proprio grazie alla collaborazione con il Patrick and Beatrice Haggerty Museum of Art (sotto l'organizzazione di Alef cultural project management di Milano), sfilano i ventiquattro pannelli in legno realizzati nell'aprile dell'83 che condensano tutto il vocabolario figurativo della sua inconfondibile creatività. 

Quasi ad offrire un'overdose di quell'iconografia distintiva e personalissima di Haring, dall'apparenza di fumetto goliardico ed infantile, talvolta irriverente e sornione, con cui però mascherava una fiera critica alla società contemporanea. Un'arte on the road, negletta e proletaria, che Haring riuscì a portare nelle gallerie e nei musei di tutto il mondo. La visione ravvicinata di questa galleria neo-pop dà la percezione esatta della forza comunicativa di Haring, che ha esordito nei sotterranei della metropolitana di New York, quando si divertiva a disegnare furtivamente figurine stilizzate e provocatorie sui cartelloni pubblicitari dei sottopassaggi, folletto occhialuto e smilzo, che viene celebrato oggi come uno dei veri e inossidabili protagonisti dell'immediata arte contemporanea, merito, se non de-merito, di una morte prematura giunta, e forse aspettata, nel pieno fulgore della carriera istantanea (nell'88 gli viene diagnosticato l'Aids e con un colpo a sorpresa annuncia lui stesso la sua triste condizione in un'intervista a Rolling Stone). 

Eccolo il suo capolavoro monumentale, caratterizzato da entrambe le pareti dipinte. Da un lato scorre una sequenza ininterrotta di bambini a quattro zampe, in alto, e di cani che abbaiano (barking dogs), in basso. Sull'altro, la narrazione diventa più complessa e animata di personaggi diversi, icone del "bestiario" di Haring. Leit motif, le figure danzanti ispirate ai ballerini di breakdance. Tra queste spiccano il televisore con le ali, il cane, l'uomo con la testa di serpente. Il centro del murale è occupato da un ballerino che al posto della testa ha un televisore con il numero 83 disegnato sul monitor. E a destra spicca un'altra delle immagini simbolo di Haring: la faccia con tre occhi che fa la linguaccia. Il tutto è arricchito da fotografie e da un video che documentano le fasi della realizzazione e dai disegni fatti da Haring per l'occasione. "Al murale si attribuisce particolare importanza perché realizzato agli inizi della carriera dell'artista quando il suo stile rispecchiava ancora tutta la freschezza dei disegni della metropolitana di New York", commenta Curtis L. Carter, che racconta nel catalogo della mostra quei giorni di lavorazione. "Quando ci incontriamo all'aeroporto, Haring è entusiasta del progetto e pronto a mettersi immediatamente al lavoro. 


Passiamo dal negozio di ferramenta locale per comprare il colore. Per i contorni delle immagini sceglie della vernice nera. Un'altra sosta in un colorificio di Milwaukee per comprare il Day-Glo di colore arancione brillante a quarantacinque dollari al gallone, destinato a riempire gli spazi interni". "Arrivato sul posto - continua Carte - sul lato ovest del cantiere per la costruzione del museo, Haring si mette al lavoro tracciando con il colore nero sulla prima mano bianca i contorni delle immagini da riempire poi con il Day-Glo arancione. Haring disegna personalmente tutti i contorni e riempie quasi tutti gli spazi interni, ma accetta la collaborazione di studenti volontari per coprire parte degli spazi con il colore arancione. Ha appena il tempo di iniziare a dipingere che si è già radunata una piccola folla. Ogni giorno, per i tre giorni successivi, parecchie centinaia di persone vengono a osservare l'artista al lavoro. Un flusso ininterrotto di persone, tra cui gli studenti della Marquette University e dell'University of Wisconsin-Milwaukee, artisti e abitanti del luogo, curiosi di conoscere il progetto". Ben presto, la realizzazione del murale si trasformò in un'autentica performance con Haring al centro della scena.


Notizie utili - "Keith Haring: Il Murale di Milwaukee", dal 30 luglio al 19 febbraio 2012, Chieti, Museo Archeologico Nazionale d'Abruzzo - La Civitella.Orari: martedì-domenica 9-20.  Lunedì chiuso.Ingresso: intero: 7 €; ridotto: 5 €Informazioni: tel. 0871 63137Catalogo: Skira


FONTE: Laura Larcan (repubblica.it)

mercoledì 27 luglio 2011

I fasti di Margherita e di Terruzzi

Nasce il polo museale con una mostra storica e la collezione

Di sala in sala, di salone in salone, dopo la cappella all’entrata, si accede ai piani superiori per scale sontuose rigorosamente restaurate come ogni dettaglio: stucchi, tempere, lampadari, vetri, vetrate, marmi, ferri battuti. Una villa sontuosa che pare tornata a vivere e risplendere come ai tempi di colei che la costruì e la volle bella e vivibile, con tutti gli agi degni d’una regina. Tutto è lindo e accurato, ogni ambiente agghindato con magnifiche rose candide e gigli come forse amava la Regina Margherita di Savoia, che elesse per residenza invernale Bordighera, lungo l’antica via romana, chiamando a costruire l’edificio con il magnifico balcone che guarda il mare l’architetto Luigi Broggi, allievo di Camillo Boito. Lì la sovrana chiuse gli occhi nel 1926.

Alla regina è dedicata una mostra omaggio, curata dalla direttrice del Museo, Annalisa Scarpa, e dall’architetto che si è occupato dei restauri, Michelangelo Lupo, per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Proragonisti sono ritratti, dipinti anche di Balla, lettere, foto, oggetti prediletti dal mantello all’inginocchiatoio, e una trentina di pezzi prestati dal Patrimonio del Quirinale, altri musei e collezioni private. La novità vera, infatti, è il polo museale che qui sorge per volere d’uno dei grandi collezionisti italiani, Guido Angelo Terruzzi, il quale ebbe come sogno di riportare ai fasti Villa Margherita, dal 2009 di proprietà di Provincia e Comune. E qui ora la sua famiglia ha collocato parte della sua collezione: dipinti, decori, sculture, pezzi d’arredo eccezionali, porcellane orientali, bronzi, argenti, ceramiche, come il famoso Servizio Minghetti ideato nel 1888 per il Duca d’Orléans, composto di 381 pezzi. 

La collezione, qui ricca di 1200 pezzi (in comodato trentennale) offre la possibilità di ammirare dipinti superbi, fondi oro del ‘300-‘400 come Madonna con bambino di Bicci di Lorenzo e quella magnifica di Giovanni del Biondo, nature morte italiane e straniere fra ‘500 e ‘800, compresa una splendida Allegoria di Jan Brueghel II, e nuclei di dipinti ‘600-‘700 da diverse scuole italiane. Fra queste ultime, per la ligure del XVII secolo, accanto a Gioacchino Assereto e alla Santa Caterina di Bernardo Strozzi, si impone per qualità un gruppo memorabile di paesaggi, figure, ritratti di Alessandro Magnasco che già da soli valgono una visita, seguiti per la scuola napoletana da tre tele di Luca Giordano, accanto a Paolo De Matteis, Francesco de Mura, Giuseppe Recco. Quanto all’Emilia non mancano Il ritrovamento di Mosè e L’adorazione dei Magi di Giuseppe Maria Crespi e, al primo piano, un Cristo alla colonna di scuola caravaggesca, e Lo Spagnoletto di Adorazione dei pastori. 

MARGHERITA, REGINA D’ARTE
E DI CULTURA E COLLEZIONE TERRUZZI
BORDIGHERA, VILLA R. MARGHERITA
FINO AL 18 SETTEMBRE

FONTE: Fiorella Minervino (lastampa.it)

venerdì 22 luglio 2011

Da Marilyn a Déborah François: è il tempo della "pornostalgia"


I francesi l'hanno definita "pornostalgie": è la recente tendenza cinematografica,che mira a riprendere tematiche caratteristiche degli anni della libertà sessuale.
Il cinema (soft) pornografico, dopo decenni di distribuzione legata unicamente all'home video, sembra essere tornato di gran moda anche sul grande schermo: dal cosiddetto cinema d'autore, in cui i rapporti sessuali espliciti sono mostrati con sempre maggiore intensità, al sottogenere horror del torture porn, di cui fanno parte pellicole come «Hostel» di Eli Roth o la serie di «Saw - L'enigmista», dove i corpi mutilati sono esposti in maniera sadica e senza censure.
L'ultima frontiera di questa ritrovata tendenza è data dalle potenzialità del 3d, che anche in questo genere sembra voler dettare legge.Un grande successo in questo senso è stato il film hongkonghese «Sex and Zen Extreme Ecstasy 3d» diretto dall'esordiente Christopher Sun Lap Key, remake dell'omonima pellicola del 1991 di Michael Mak.
Tratto da un racconto erotico del seicento, «Sex and Zen» è diventata una pellicola di culto per la sua natura boccaccesca e per il soggetto della storia, incentrato su un giovane che, nel tentativo di soddisfare la sua amata, decide di farsi trapiantare il membro di un cavallo. Nella memoria collettiva sono rimaste le immagini di contorti rapporti sessuali, più divertenti che realmente erotici.
Il remake: «Sex and Zen Extreme Ecstasy 3d», nonostante il divieto ai minori di 18 anni, ha incassato in patria oltre 11 milioni di euro nella sola prima settimana di programmazione, andando a superare persino il record di «Avatar».
Facendo un paragone fra i due, mentre il kolossal di James Cameron ha ottenuto a Hong Kong 235.000 euro nella sua giornata d'esordio, quello di Sun Lap Key l'ha superato con ben 255.000 euro.
Dopo essere stato proiettato a fine giugno al Festival di Mosca, «Sex and Zen Extreme Ecstasy 3d» si prepara ad approdare nelle sale europee, con la prima uscita nei cinema francesi il 10 agosto. In attesa che venga annunciata la distribuzione del film hongkonghese anche nelle nostre sale, il pubblico italiano appassionato di cinema erotico potrà rifarsi a partire dal 26 agosto con «Student Services».
In questo film, diretto dall'attrice francese Emmanuelle Bercot, si racconta il dramma di tante ragazze costrette a prostituirsi per pagare le tasse universitarie e gli affitti delle stanze dove vivono: in Francia sarebbero, secondo le più recenti statistiche, più di 40.000 su circa 2 milioni totali di studentesse.
Tratto da un libro autobiografico di Laura D., intitolato «Mes chères études», «Student Services» ha per protagonista l'intensa Déborah François, scoperta dai fratelli Dardenne nel 2005 per il film «L'enfant». 

E proprio puntando sull'accoppiata vincente tra porno e nostalgia si inserisce l'operazione che ha al centro un filmino d'antan con la più sempiterna fra le dive: Marilyn. Il corto porno che ha per protagonista la bionda sexy protagonista di "Niagara" e di "Quando la moglie è in vacanza" va all'asta A Buenos Aires e il successo si preannuncia garantito. Il film del 1946 con Norma Jean Baker, allora attrice sconosciuta, ma che nel giro di qualche anno sarebbe diventata il sogno proibito d'America, è in bianco e nero e dura appena sei minuti. La pellicola verrà battuta il 7 agosto al centro culturale Borges al prezzo di partenza di 500mila dollari.Un evento per appassionati e fanatici che ha suscitato grande interesse, tanto che per l'organizzatore dell'asta, Mikel Barsa, «il film potrebbe facilmente essere venduto per un milione di dollari». Barsa ha avuto il mandato dalla famiglia di un collezionista spagnolo, dopo aver venduto qualche anno fa l'unica altra copia esistente del film porno di Marilyn Monroe. Allora, confidò lui, aveva ricevuto richieste dal Giappone alla Norvegia. Il mese scorso a Beverly Hills il famoso vestito bianco indossato dalla Monroe nel 1955 nel film «Quando la moglie è in vacanza» è stato battuto all'asta per 4,6 milioni di dollari (3,2 milioni di euro). Come dire insomma che l'accoppiata tra porno e nostalgia ha il guadagno assicurato. 
FONTE: Stefano Biolchini e Andrea Chimento (ilsole24ore.it)

giovedì 21 luglio 2011

L'altra faccia dell'imperatore "folle" Al Foro l'arte secondo Nerone


La mostra sui luoghi vissuti o creati dall'imperatore sul Palatino. Le maggiori novità dagli scavi in corso alla "Domus Tiberiana". Massima contraddizione fra inaudite violenze private e il rifiuto degli spettacoli cruenti. Istrionico nel cercare il "bagno della plebe" e spettacolare nel costruire l'immensa e sontuosa "Domus Aurea" che lo avrebbe consacrato immortale. L'apprezzamento del popolo dopo la morte. Esclusa per lavori la visita al "triclinio estivo" sotterraneo


Nerone. Una scelta piena di problemi pratici, ma obbligata. Perché questa mostra porta i visitatori sui luoghi vissuti o creati o sopravvissuti dell'imperatore romano più odiato o vituperato o calunniato.  Portarli sul Palatino, prima e dopo l'incendio epocale, dove Nerone è stato proclamato imperatore ed ha fatto sfoggio dell'estro di costruttore di ambienti raffinati, esclusivi. La mostra ha quindi bisogno dell'immaginazione dei visitatori che devono elaborare quello che vedono.  Della "Domus Transitoria" sugli Orti Farnesiani di cui "non è possibile un'attribuzione certa" dei vari edifici e resti", dalla quale arrivano le ultime novità degli scavi in corso. "Anteprima" della "Domus Aurea", la cui sistemazione non è ancora del tutto chiara, ma che dal Palatino arrivava al colle Oppio. ? questa la parte che si tende a far coincidere con l'intera "Domus Aurea", che rimane fuori della mostra per i noti problemi alle strutture, ma con marmi che si vedono per la prima volta nella parte finale della mostra, al Colosseo. Così la mostra "Nerone" (fino al 18 settembre), della soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma, a cura di Maria Antonietta Tomei e Rossella Rea (catalogo Electa), esige una buona inclinazione al camminare, con scarpe comode sui basoli e su distanze non brevi, la disponibilità di un'ora e mezzo, meglio due. Seguendo i nuovi cartelli. 

Si parte dalla Curia Iulia, all'estremità del Foro, in cui Nerone viene presentato con teste e busti di marmo candido e nero basalto con gli altri componenti della famiglia imperiale, moriture comprese per sua volontà (mogli e madre). La dolce Ottavia dai costumi irreprensibili, prima moglie di Nerone e sorellastra, fatta spostare a dodici anni.  Abbagliato da Poppea che voleva sposare, Nerone la ripudiò per sterilità e adulterio, e siccome era ingombrante anche in esilio la fece uccidere a venti anni. Anche Poppea muore, incinta. Per un calcio infertole al basso ventre da Nerone (un omicidio preterintenzionale) o per un "litigio, un incidente, una malattia". Nerone la fa imbalsamare e a lei rimarrà attaccato al punto da "sposare" l'eunuco Sporo "che tanto le somigliava". C'e anche Nerone in dipinti ottocenteschi, torvo e imbolsito, sovraccarico di vesti e gioielli, a fianco di una tigre resa mansueta. 
Ci si trasferisce al tempio di Romolo, al centro del Foro,  dove viene proiettata una selezione dell'immagine di Nerone più duratura nella testa della gente, quella dei film. Con Peter Ustinov, il più grande Nerone del cinema, impossibile da odiare, e Alberto Sordi, gigione insuperabile, anche lui complice involontario del "mostro". L'approccio moderno a Nerone è certamente in contrasto con quello antico marcato dal "Nerone matricida e incendiario". Si sale al Palatino, ai margini degli Orti Farnesiani, alla "Domus Tiberiana" dove Nerone visse col patrigno Claudio che lo adottò e alla madre Agrippina alla quale Nerone deve di essere diventato imperatore. Probabilmente fu lei ad avvelenare Claudio e sempre lei viene tirata in ballo per l'avvelenamento del figlio quattordicenne di Claudio. Fu Agrippina a far rientrare dall'esilio il filosofo Anneo Seneca come precettore: si suiciderà nel 65 coinvolto nella congiura dei Pisoni che scatenerà Nerone in una lunga "purga" di pretoriani, senatori, militari e intellettuali.  Agrippina, figlia dell'amatissimo e valoroso generale Germanico, aveva un potere enorme anche nei confronti dei pretoriani, e non si frenava nelle ingerenze, disponeva di vita, morte ed esilio creando un fronte comune fra Nerone, i consiglieri Seneca e Burro, Poppea, la donna che aveva deciso di conquistare l'imperatore. Nel marzo 59 Agrippina, a 44 anni, viene assassinata "su mandato  imperiale" nella villa di Bacoli vicino Baia. La sua eliminazione viene considerata "di Stato", per la "salvezza della res pubblica". Ma un matricidio "provoca sempre sgomento nell'opinione pubblica e nel mandante: Nerone fu sempre perseguitato dal rimorso". "Nero Claudius Caesar Augustus Germanicus" fu proclamato imperatore a sedici anni e dieci mesi sui gradini della "Domus Tiberiana", prima della ratifica del Senato, e qui sono le novità degli ultimi scavi (ancora in corso).  Finora  - ha osservato Maria Antonietta Tomei-, si è sempre ritenuto che la "Domus Tiberiana"  fosse un nucleo della "Domus Aurea" di Nerone. Gli scavi sulla terrazza degli Orti Farnesiani, indispensabili per "sanare i gravissimi dissesti statici", hanno "rivoluzionato questa credenza". Hanno infatti scoperto una fontana monumentale, un peristilio con vasca polilobata, rivestita di lastre di marmo bianco, con sottostanti, ampi criptoportici come gallerie di comunicazione. Nella vasca è stata trovato "un lungo frammento" di condotta di piombo con il nome dell'imperatore Claudio. Questo imperatore ha ristrutturato e rinforzati i criptoportici che certamente esistevano al tempo del predecessore Caligola.Non fu dunque Nerone e neppure  i successivi Flavi (Vespasiano, Tito, Domiziano) a "dare per la prima volta monumentalità al palazzo imperiale del Palatino", ma forse Tiberio, il predecessore di Caligola e quindi Caligola, avevano iniziato un progetto poi realizzato da Claudio.Dalla "Domus Tiberiana" sono state recuperate sculture esposte nel lungo Criptoportico neroniano a poche decine di metri di distanza. Un campionario del "lusso sfrenato" dei palazzi neroniani (lui che all'inizio aveva fatto leggi per frenare il lusso), con statue, rilievi, affreschi e volte in stucco ancora al loro posto con profusione di oro che voleva far scattare l'idea dell'"Età dell'oro" di cui Nerone voleva essere l'iniziatore. Il criptoportico conduce alla zona  della "Domus Transitoria" neroniana sopravvissuta all'incendio, e al Museo Palatino. I resti neroniani, del prima e dopo incendio, ricorda Maria Antonietta Tomei, "non sono ancora stati definiti con chiarezza". Nerone, come tutti gli imperatori edificò sul Palatino il nuovo palazzo, ma lo ampliò "a dismisura", al punto che fu accusato di aver espropriato i romani della loro città (ma la maggior parte dei terreni era di proprietà di Nerone). Dopo l'incendio interi quartieri vennero assorbiti nella nuova "Domus" che aveva una superficie di circa 80 ettari: dal Palatino, al Celio, alla valle ora del Colosseo, all'Oppio, all'Esquilino. Non solo giardini, ma boschi, stagni. La chiamò "Domus Aurea" perché doveva essere degna della reggia di un dio in terra. Non residenza, ma sede ufficiale (e unitaria) del potere imperiale. Adriano La Regina ci ricorda che "Domus Aurea"  traduceva il greco "Domos chrysios", "aurea dimora di Zeus". La "Domus Transitoria", così detta perché riuniva le fabbriche del Palatino a quelle dell'Esquilino lasciando passaggi pubblici, fu ricostruita dopo l'incendio e inserita nella "Aurea". La "Domus Transitoria" è rivelata dalle combinazioni straordinarie di pavimenti in marmi policromi, in "opus sectile", la tecnica romana ad intarsio più elaborata e costosa, con tondi di porfido e marmo verde, rettangoli di marmo rosa, figure geometriche nere su marmo giallo, arabeschi, linee leggere ed elaborate, fogliame.   Accanto è il  ninfeo, diventato sotterraneo della "Domus Transitoria", l'ambiente più prezioso, più carico di fascino. Purtroppo non fa parte dell'itinerario della mostra. Si sperava di poterlo fare "dopo l'estate", ma la messa in sicurezza dei solai è "complessa e non è possibile fissare una data".Nerone si era costruito questo ninfeo come triclinio estivo, circondato e rivestito di marmi preziosi ed esotici, capolavori variopinti in "opus sectile". Con i pavimenti forati dai quali zampillava l'acqua che scendeva a riprodurre una fontana. Bellissimo l'ambiente, ancora più affascinante per l'atmosfera tenebrosa e le illuminazioni dei lucernai. I resti del triclinio estivo sono emersi sotto i muri della "Domus Aurea" e del triclinio della "Domus Flavia" di Domiziano che hanno tagliato, riempito, obliterato gli ambienti.  ? sopravvissuto uno spigolo della scena tutta mossa, con quattro colonnine di marmi preziosi scuri (ricomposte in forma bianca), con base a capitello corinzio di bronzo dorato. Una struttura che ripropone le forme della quinta teatrale. La sistemazione ideale per Nerone  sdraiato sulla lettiga a cantare l'incendio di Roma ricordando un altro celebre incendio, quello di Troia conquistata dai greci.  

FONTE: Goffredo Silvestri (repubblica.it)

domenica 17 luglio 2011

Simondo a caccia di imprevisti

Un’antologica nel convento di Santa Caterina



Sotto le arcate dell’antico, suggestivo Complesso di Santa Caterina prende l’avvio il vasto omaggio a Piero Simondo, per le cure di Sandro Ricaldone, ricco di trentotto opere fra dipinti, disegni, monotipi. Una personale che si sviluppa su due piani e tre sale per raccontare l’avventura artistica di un’intera esistenza che si impone fra gli Anni 50 e il 2008 nel segno del continuo sperimentare all’interno di quell’oceano infinito che fu ed è l’Arte Astratta o Informale che dir si voglia. Ossia una ricerca inesauribile di tecniche, immagini, forme che si disfano e ricompongono con risultati inconsueti, significati diversi, gesti che trovano inedita consistenza. 

Lo scopo è sempre quello di catturare l’imprevisto, «di arrivare all’inespresso, all’immaturo» scrive l’artista nel libro (edizioni Il Canneto) pubblicato per l’esposizione. È questo l’intento della pittura di Simondo, che si è misurato con materiali che vanno dalla lastra di vetro alla tela e dalla masonite alla carta, dapprima in opere eloquenti come Quadretto blu del ‘56, poi sulle significative Topologie del ‘61, per procedere con Nitrocolla del ‘76 e alleviare il tratto e schiarire i colori negli azzurri del suo mare, come nel polittico Barocco C del ‘93, approdando a Macchia blu o gialla del 2008. Nato nel ‘28 a Cosio d’Arroscia, vicino a Imperia, è stato allievo di Casorati all’Accademia Albertina. I lavori degli esordi sono ceramiche astratte che crea ad Alba, dove lavora anche con e per Pinot Gallizio: dal ‘54 si dedica ai monotipi. L’amicizia con Jorn lo induce a numerose iniziative quali il primo Congresso mondiale degli artisti liberi sul tema «le arti libere e le attività industriali», dove intervengono tra gli altri Ettore Sottsass ed Enrico Baj. In seguito si succedono mostre e conferenze a Torino, Bruxelles, Londra. A Torino, dove risiede, nel ‘62 crea il CIRA, Centro di Cooperazione per un istituto Internazionale di Ricerche Artistiche. In seguito insegna all’Università. A festeggiare l’opera e la carriera, sabato c’è stata la Compagnia DAS (DanzAtelierStudios) con una performance dal titolo L’Immagine imprevista, con coreografia di Elena Rolla, nipote di Simondo. 

PIERO SIMONDO, L'IMMAGINE IMPREVISTA, OPERE 1955-2008FINALBORGO (SV), SANTA CATERINAFINO AL 7 AGOSTO

FONTE: FIORELLA MINERVINO (lastampa.it)

lunedì 11 luglio 2011

Al Mart capolavori italiani uno sguardo sul Novecento


A Rovereto in mostra opere raccolte dal collezionista tedesco Feierabend. Da De Chirico a Mondino, una storia dell'arte sconosciuta. Ne parliamo con la direttrice del museo e curatrice Gabriella Belli.

Al Mart di Rovereto una grande mostra svela capolavori dell'arte italiana del Novecento. A raccoglierli in una trentennale carriera di ricerca e scouting è stato il tedesco Volker W. Feierabend, che dai maestri del secondo dopoguerra ha setacciato le nuove generazioni di creativi fino ad oggi. La rassegna, "Percorsi riscoperti dell'arte italiana nella VAF-Stiftung 1947-2010", sarà visitabile fino al 30 ottobre. Ce ne parla la curatrice e direttrice del museo Gabriella Belli.

Qual è il bello di questa collezione?
"Mi verrebbe da dire che il bello deve ancora arrivare, perché Feierabend non ha nessuna intenzione di fermarsi. A parte le battute, il punto cruciale è l'estensione e la metodicità del lavoro di Feierabend, che negli anni ha raccolto una quantità enorme di opere. Tra queste ci sono alcuni capolavori dell'arte italiana che sono diventati vere icone delle nostre collezioni, e che sono opere fondamentali per la storia dell'arte italiana. Si parte dalle avanguardie storiche (Futurismo, Metafisica, Novecento italiano, Astrazione e Corrente), per poi passare attraverso le ricerche del secondo dopoguerra e, successivamente, agli anni Sessanta e Ottanta (arte informale, arte povera, arte cinetica e programmata, pittura analitica), fino ad includere alcuni avori rappresentativi dello scenario artistico nazionale degli ultimi anni. Basti citare opere come "La matinée angoissante" di Giorgio de Chirico, "Le figlie di Loth" di Carlo Carrà, i "Numeri innamorati" di Giacomo Balla o "Beethoven" di Felice Casorati".

Secondo lei, cosa ha "stregato" Feierabend dell'arte italiana?"Se è per quello, Feierabend usa per sé stesso parole ancora più forti, sostiene di essere un "invasato" dell'arte italiana. In ogni caso, si tratta di vero amore, e le passioni dei collezionisti sono irriducibili alle spiegazioni. Però una cosa si può dire: Feierabend ha sposato un'italiana, e dagli anni Settanta vive tra Milano e Francoforte. Nel suo processo di formazione di un gusto collezionistico, si è trovato in una situazione particolare: ha verificato come in Germania la conoscenza dell'arte italiana del ventesimo secolo fosse piuttosto scarsa. Gli è parso quindi naturale indirizzare i propri sforzi per far conoscere l'arte del paese che ama nei musei del paese in cui è nato e opera con successo come imprenditore".La prima parte della mostra, vuole riscoprire artisti tra gli anni '50 e '80..."Il fatto è che in Italia, negli anni Trenta e Quaranta, si è sviluppata un'importante corrente legata all'astrazione - si pensi a Licini, a Magnelli, a Radice - che qui al Mart da anni esponiamo con grande convinzione, perché pensiamo che sia uno degli snodi importanti della nostra storia artistica del secolo passato. Gli artisti selezionati in "Percorsi riscoperti" dimostrano una cosa molto importante, e cioè che la via dell'astrazione ha avuto una diretta influenza nel secondo dopoguerra. O per prosecuzione ideale, com'è il caso del razionalismo concreto e del costruttivismo, o per reazione, come per Emilio Vedova, i cui gesti fluidi e informali possono essere visti appunto come una liberazione dal rigore dell'astrazione". Perché secondo lei la critica "dimentica"?"E' il sistema dell'arte nel suo complesso, di cui i critici sono un elemento determinante ma non onnipotente, che dimentica, riscopre, rivaluta incessantemente. E' una dinamica inevitabile e fisiologica, specialmente quando è passato poco tempo. Cinquant'anni sono pochi nelle dinamiche della storia dell'arte. In tempi più lunghi questo ritmo di omissioni e riscoperte si assesta e dà luogo a giudizi più ponderati e acquisiti". Passiamo alla seconda parte della mostra, ai giovani: ci può sintetizzare il gusto di Feierband verso la nuova arte italiana?"Già nel 2005, quando presentammo una prima selezione di opere dal titolo "Arte italiana dalla Fondazione VAF", Feierabend sosteneva che il collezionista deve impegnarsi a "conoscere non solo gli artisti storicizzati o apprezzati dal grande pubblico. La scelta di inserire un giovane in collezione, per la VAF-Stiftung, è un processo meditato e collegiale. Esiste un comitato scientifico che vaglia attentamente le possibilità, e decide in base a criteri scientifici di alto profilo. Feierabend è convinto, e io con lui, che tra i nomi presenti in queste rassegne potranno esserci in futuro delle conferme importanti".Cosa ci fa scoprire questa parte di collezione?"Che la giovane arte italiana è molto meno omogenea e appiattita di quanto a volte si tenda a credere. Che tutte le correnti artistiche fiorite nel corso del novecento hanno dato frutto, e continuano a influenzare e ispirare la ricerca contemporanea. Se visitate la sezione finale della nostra mostra troverete certo temi di attualità e tecniche innovative, ma vedrete anche molti echi del passato. Addirittura, chi osserva con attenzione, potrà verificare come molti artisti giovani hanno chiaramente amato e interiorizzato la lezione di artisti che il Mart espone proprio al piano di sopra: Campigli, Sironi, de Chirico, Merz, Pistoletto". Com'è cambiata allora l'arte italiana?"Nella continuità". Cos'è il concettualismo ironico con cui chiude la mostra?"L'ironia implica sempre un distacco, rivolto prima di tutto contro se stessi. Mentre il concettualismo presuppone una fortissima adesione alla propria idea di arte, talmente radicale da far passare in secondo piano la realizzazione effettiva di un oggetto fisico. "Concettualismo ironico" è quindi un ossimoro, che trovo perfetto per tentare di definire opere come quelle di Aldo Mondino (fine anni Ottanta) o quelle recenti di artisti come Antonio Riello e Corrado Bonomi. In comune hanno il fatto di aver accolto il linguaggio dell'arte concettuale, spogliandolo però di serietà e ideologie, perché nel frattempo sono passati attraverso la leggerezza del postmoderno".Notizie utili - "Percorsi riscoperti dell'arte italiana nella VAF-Stiftung 1947-2010", dal 3 luglio al 30 ottobre 2011, Mart: Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, corso Bettini 43 Rovereto (TN). Orari: mar-dom 10.00-18.00 ven 10.00-21.00. Ingresso: intero €11, ridotto €7 gratuito fino ai 14 anniInformazioni: 800 397760, www.mart.trento.it 2.

FONTE: Laura Larcan (repubblica.it)