mercoledì 29 febbraio 2012

Da Scampia alle carceri francesi Periferie "contro" al Maxxi


Nel museo romano, una mostra rilegge il "degrado". Dalle "Vele" del quartiere napoletano alle prigioni d'Oltralpe. Protagonisti, il tedesco Tobias Zielony e il franco-algerino Mohamed Bourouissa


Si fa presto a dire arte. Perché anche un viaggio notturno a Gomorra, attraverso le "Vele" di Scampia, il quartiere di Napoli che avrebbe dovuto essere un esempio positivo di urbanistica e invece è diventato tristemente noto per il suo degrado, può trasformarsi in un'esperienza artistica. Così come un anno di telefonate e messaggi con un detenuto in una prigione francese può "assurgere" ad una video-performance. Il filo rosso è l'indagine sulla condizione sociale della periferia. Ma il piglio da reportage giornalistico è del tutto assente. Lo dimostrano le opere dei due artisti, il tedesco Tobias Zielony, e l'algerino parigino Mohamed Bourouissa, che vanno in scena al Maxxi dal 16 febbraio al 27 maggio, nella mostra "Peripheral Stages". 
Due percorsi paralleli, articolati tra video, lightbox e fotografie, restituiscono la visione estetica, impegnata, ma lontani anni luce dai cliché, della società contemporanea più emarginata. Zielony, cresciuto tra l'Università del Galles e l'Accademia di Lipsia, protagonista due anni fa della settima Biennale Internazionale di fotografia e arte visuale di Liegi, porta avanti da anni una ricerca fotografica sui giovani negli spazi pubblici delle periferie europee e nord americane. 

Mohamed Bourouissa, con laurea alla Sorbona, specializzazione in fotografia all'École des Arts Décoratifs, mostre alla sesta Biennale d'Arte Contemporanea di Berlino (2010) e lo scorso anno alla 54esima Biennale di Venezia, affronta la società con un approccio più concettuale, lavorando sul tema dello "schermo televisivo distrutto" per criticare la dipendenza dai massmedia. Ad accomunarli, ora, è un linguaggio fotografico, che appare critico e poetico allo stesso tempo, che tenta una rilettura della periferia, setacciando le tensioni sociali, l'abbrutimento degli ambienti, i tormenti e le nausee di una quotidianità marginale, per trasfigurarli in qualcos'altro che sappia resistere al degrado. 

Complice l'architettura. Zielony, nel suo progetto "Vele" (composto in origine di settemila singoli scatti effettuati di notte a Scampia 2009-2010), tra fotografie e video, indaga le famose strutture architettoniche, col relativo sottobosco umano, di Scampia. Edifici solo apparentemente anonimi, che vengono trasformati in astronavi urbane, dove i giovani rimangono sospesi nel tempo, in bilico tra infanzia ed età adulta. Bourouissa porta la serie di fotografie Screens (Schermi) dove sfilano le superfici frantumate di schermi televisivi, ma anche il video Temps mort (Time Out) che documenta un anno di comunicazione via cellulare tra l'artista e un conoscente detenuto in una prigione francese. 

Scorrono frammenti di conversazioni telefoniche, messaggi di testo e immagini in movimento a bassa risoluzione, frammenti di vita all'interno e all'esterno del penitenziario che rivelano l'intimo rapporto che si è sviluppato tra artista e prigioniero. Lavori che restituiscono un ritratto duro della condizione di "periferia", ma che non scadono nella retorica o nel cliché della marginalità da cronaca nera. Non a caso, le "Vele" di Zielony sembrano evocare le "Carceri" di Piranesi", nel gioco labirintico delle scale, nel taglio sghembo delle architetture, nella suggestione delle prospettive. 

Notizie utili - "Peripheral Stages. Tobias Zielony e Mohamed Bourouissa", dal 16 febbraio al 27 maggio 2012, Maxxi-Museo nazionale delle arti del XXI secolo, via Guido Reni 4a, Roma
Orario: 11  -  19 martedì-domenica, 11.00  -  22 (sabato), chiuso lunedì 
Ingresso: €11,00 intero, € 8,00 ridotto
Informazioni: 06.399.67.350, www.fondazionemaxxi.it

mercoledì 8 febbraio 2012

Pittori che guardano lontano Hayez, Fontanesi e l'Oriente



A Reggio Emilia, a Palazzo Magnani una grande mostra riscopre il fascino dei pittori italiani per le terre remote. In scena i grandi artisti-viaggiatori e sognatori dell'Otto-Novecento


Il Mal d'Oriente. Le Mille e una notte dei pittori italiani, in quell'entusiasmo romantico e alla moda di fine Ottocento, consumato alla scoperta di luoghi esotici, anche immaginati e fantasticati, di un Oriente pieno di charme e delizie. Lo racconta la bella mostra "Incanti di terre lontane. Hayez, Fontanesi e la pittura italiana tra Otto e Novecento" in scena a Palazzo Magnani dal 4 febbraio al 29 aprile, con un repertorio di un centinaio di opere di istituzioni pubbliche e collezioni private. Il bello del percorso è quello di indagare le avventure di una quindicina di raffinati artisti sedotti e ammaliati da altri mondi, tra chi affrontò viaggi, carovane e pellegrinaggi tra paesi tra Egitto e Tuschia, Siam e Giappone, e chi li sognò mirabilmente dall'atelier di casa.

Come scrive Anna Villari nel catalogo della mostra (Silvana editoriale): "L'Oriente appare nell'Ottocento europeo, in misura diversa e forse ancora maggiore rispetto alle curiosità e alle mode cinesi o turchesche del Settecento, un mondo in parte fantastico in parte reale, per lo più sconosciuto e misterioso, una dimensione fatale che attrae viaggiatori, curiosi, letterati e pittori. Paesaggi desertici, carovane, strade e villaggi, palazzi magnifici, terrazze ventilate aperte su tetti e minareti, improvviso rigoglio di giardini, e appunto harem, hammam, figure femminili isolate o in gruppo, favorite di un pascià al bagno o schiave in attesa di essere vendute al mercato, sono i soggetti prediletti di tante descrizioni letterarie o evocazioni pittoriche". 

Protagonista clou, quasi una rivelazione, di questa rassegna è Francesco Hayez, grande protagonista della pittura risorgimentale, virtuoso del rigore formale e del vivido colorismo, sagace nella scelta dei temi trattati che l'ha fatto apprezzare da personalità come Manzoni e Rossini, riesce a fondere l'afflato di un nobile pathos anche nelle scene esotiche, qui rappresentate  dall'Odalisca della Pinacoteca di Brera, la Ruth delle Collezioni Comunali di Bologna e Un'odalisca alla finestra di un Harem di una nota collezione privata. Accanto, la riscoperta di Antonio Fontanesi, che tra il 1876 e il 1878, insegnò nella nuova Accademia di Belle Arti d Tokyo. E' lui che ha riportato il Giappone in patria, raccontato con un ispirato lirismo da tre dipinti e alcuni disegni a matita, per la prima volta raccolti in una mostra. 

Se Fontanesi fu illustre straniero in Giappone, Galileo Chini lo fu nel Siam Siam dove si recò insieme all'architetto torinese Annibale Rigotti, tra il 1911 e il 1914, per partecipare alla fastosa decorazione del Palazzo del Trono a Bangkok. Da Parma partirono carichi di tavolozze, pennelli e macchina fotografica Alberto Pasini e poi Roberto Guastalla, il "Pellegrino del sole". Da Firenze Stefano Ussi scelse l'Egitto e il Marocco, assecondando anche committenze illustri locali. Le suggestioni del viaggio non lasciarono insensibili artisti come Eugenio Zampighi, Pompeo Mariani, Augusto Valli, Achille Glisenti. E neanche un grande personaggio come Domenico Morelli, che a Napoli, senza mai lasciare la sua città, descrisse garbate sontuosità di odalische, misteriose figure di arabi, mistiche atmosfere di preghiere a Maometto. Visioni di raffinato erotismo si ritrovano nelle opere di Fabio Fabbi, del siciliano Ettore Cercone e del pugliese Francesco Netti, come ne "Le ricamatrici levantine".

Notizie utili -  "Incanti di terre lontane. Hayez, Fontanesi e la pittura italiana tra Otto e Novecento", dal 4 febbraio al 29 aprile 2012, Palazzo Magnani, Corso garibaldi 9. Reggio Emilia.
Orari: martedì-venerdì 10.00 -13.00,15.30 - 19.00, sabato-domenica 10- 19, chiuso lunedì
Ingressi: intero 9 €; ridotto 7 €; Studenti 4 €
Informazioni: tel. 0522 454437

FONTE: Laura Larcan (repubblica.it)

venerdì 3 febbraio 2012

«Ettore e Andromaca»: de Chirico verso un'asta da record



Mercoledì 8 sarà battuta da Sotheby's, a Londra, una delle opere più famose del maestro. Stima prevista tra i 3,3 e i 4,8 milioni di euro

Potrebbe diventare l'opera di Giorgio de Chirico (1888-1978) più cara del mondo. E per saperlo basterà in fondo aspettare soltanto qualche giorno, giusto fino a mercoledì prossimo (l'8 febbraio) quando da Sotheby's, a Londra, andrà all'asta l'Ettore e Andromaca: un olio su tela, 90,4 x 60,3 centimetri, dipinto dal maestro tra il 1925 e il 1930 (la firma per chi volesse accertarsene è in basso a sinistra). Stima prevista «di partenza» tra i 2,8 e i 4 milioni di sterline (tra i 3,3 e i 4,8 milioni di euro). Oltretutto si tratta di un'opera in perfetto stato, dipinta in uno dei periodi più felici di de Chirico e che meglio forse lo rappresentano, anche nel più comune imaginario collettivo (al pari dei suoi Cavalli in riva al mare o delle sue Piazze d'Italia). Il record assoluto per un'opera dell'artista appartiene attualmente al Ritornante aggiudicato per 11 milioni e 41 mila euro nel febbraio 2009 all'asta parigina di Christie's, opera appartenuta alla strepitosa collezione della coppia Yves Saint Laurent e Pierre Bergé. Certo, allora erano altri tempi, la crisi sembrava più lontana, ma le premesse (almeno quelle artistiche) per un possibile prossimo record sembrano esserci davvero tutte.
Questa rilettura metafisica del mito omerico arriva da una collezione privata (dopo essere stata esposta a lungo anche al Fitzwilliam Museum di Cambridge dal 1965 al 1983): commissionato all'artista dal collezionista parigino René Berger l'Ettore e Andromaca era poi passato, senza apparentemente lasciare mai la Torre Eiffel, per le mani della contessa Félix de Clinchamp, di Juan Alvarez di Toledo e per le stanze della Galerie Cazeau-Béraudière, anche se l'attuale proprietario l'aveva acquistato (nel 2009) sempre da Sotheby's ma a New York (e questo potrebbe far pensare a un acquirente forse made in Usa o in alternativa ancora parigino). Un quadro certamente importante, così talmente riuscito che, già molti anni fa (sessantacinque per l'esattezza) l'allora direttore del Museum of Modern Art di New York, Alfred H. Barr, lo aveva definito come «la più riuscita e potente versione di un mito mai realizzata da de Chirico». Un quadro che, tecnicamente, i critici definiscono «incentrato sulle due figure di Ettore e Andromaca ma anche sulla complessità e la profondità del loro legame».
Mercoledì, fianco a fianco con questo de Chirico, ci sarà oltretutto un bel nucleo di maestri impressionisti e moderni, a cui la seduta londinese (si comincia alle 19 locali) è dedicata: si passa da un monumentale (e anch'esso molto atteso) Peinture di Joan Mirò (stima prevista dai sette ai dieci milioni di sterline) al paesaggio di Klimt appena riscoperto (Seeufer Mit Berken, dai sei agli otto milioni di sterline) mai apparso in pubblico per oltre un secolo; dall'Entre de Giverny en hiver di Claude Monet (dai quattro ai sei milioni di sterline) alle opere sparse di Dalì, Max Ernst, Yves Tanguy, Renè Magritte, Otto Dix. Una seduta che conferma che (da Sotheby's come da Christie's) Giorgio de Chirico è in qualche modo uno dei maestri che non tradiscono mai (una tarda versione delle sue Muse Inquietanti era stata venduta a novembre da Sotheby's a Milano per oltre un milione di euro). Un po' come Picasso, il suo Nudo, Foglie verdi e busto(del 1932) era stato battuto nel 2010, per 106 milioni di dollari: record assoluto per un'opera d'arte, un record raggiunto per via telefono (in soli otto minuti e sei secondi) strappandolo a un altro classico come Giacometti. 
FONTE: Stefano Bucci (corriere.it)

giovedì 2 febbraio 2012

L'essenza dell'attesa negli scatti di Stefano Cioffi. La mostra a Roma


Scatti che catturano l'attesa. La esplorano, ne immobilizzano il senso (o non-senso).Stefano Cioffi, con il suo obiettivo, ferma il tempo, anzalizza, ontologicamente, la realtà intorno a sé. Una prospettiva, la sua, che diventa oggetto della personale in mostra da domani fino all'8 marzo 2012 al Museo Carlo Bilotti Aranciera di Villa Borghese.

Attraverso gli scatti della serie Stillwaiting, Stefano Cioffi indaga il vuoto, la pausa, il silenzio nell'attesa dell'evento, entrando in risonanza con il soggetto, lo fissa in un tempo indefinito di sospensione interiore che si manifesta all’esterno. Dalle sue fotografie chiare e impattanti di un bianco e nero incisivo, traspare l'attesa che non si attende nulla, solo uno stare in essa, senza maschera, illusione, sentimentalismo, conoscenza e verità predefinite.
L'attesa è parte stessa della fotografia, la sua creazione interseca e mette a fuoco, blocca o rinvia l'obiettivo dei desideri. L'incontro con l'immagine finalmente realizzata diviene via dell'attesa e del desiderio anche per chi la guarda. La fotocamera di Cioffi ne cattura l'essenza negli scorci delle città, nelle località marine, nelle discariche, nei luoghi di culto, nei non-luoghi: siti eletti dell'immobilità e del passaggio come le stazioni sotterranee o gli aeroporti.
Con la fotografia Stefano Cioffi rappresenta il mondo nella sua presenza inafferrabile, moltiplica il suo sguardo nella complessità delle cose, lo disperde nella folla. L'artista cerca di sfidare il trascorrere del tempo e della luce portando la sua indagine su più livelli, a partire da quello degli oggetti apparentemente banali e quotidiani che accompagnano la nostra vita e che spesso consideriamo inutili. Scopre la solitudine lirica degli oggetti abbandonati, una sedia, un divano, una giacca o una bottiglia che si rivestono di una presenza speciale nella relazione quasi architettonica con lo spazio che li ospita, trovata con ostinazione nelle pieghe solitarie dei luoghi, in un’attesa che spesso rivela un distacco senza alcuna possibilità di redenzione.
Stefano Cioffi, nato a Napoli e attivo a Roma, è artista e musicista. La sua mostra innesca riflessioni sul concetto di tempo e di pausa, sia come rappresentazione visiva che musicale. L'artista insegue storie narrate con semplici dettagli per restituire la musica segreta dei luoghi. A tal fine accosta all'esposizione di fotografie, un video diretto e musicato da lui stesso ed un'installazione di slideshow con 150 immagini in loop che riproducono l'intero progetto.
La mostra 'Stefano Cioffi. Stillwaiting' è promossa da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico - Sovraintendenza ai Beni Culturali e curata da Lori Adragna e Lorenzo Canova. Il catalogo è pubblicato da Silvana Editoriale: testi di Lori Adragna, Lorenzo Canova e Fabio Castriota.

FONTE: adnkronos.it

mercoledì 1 febbraio 2012

Arte Fiera, cento barchette nel mare grosso della crisi


Nella rassegna che si chiude oggi un’installazione di Hashimoto come metafora della situazione attuale delle gallerie espositrici

L’unica grande installazione presente in questa edizione dell’Arte Fiera Art First, che si chiude oggi a Bologna, è Armada del giovane americano Jacob Hashimoto. Si tratta di più di un centinaio di barchette a vela di legno che fluttuano nell’aria, sospese a fili mossi da invisibili motorini elettrici collocati sul soffitto. Quest’opera, messa in vendita a 360 mila euro, potrebbe essere vista dai pessimisti come una metafora della situazione attuale in cui si trovano le 150 gallerie espositrici, sballottate nel mare grosso della crisi economica generale e di settore. E la stessa galleria che la espone, lo Studio La Città di Verona, ha dichiarato che non parteciperà più alle fiere per sviluppare nuovi progetti espositivi.

In effetti è vero che le preoccupazioni sono tante, e che molte gallerie navigano prudentemente a vista, ma qui a Bologna prevale un «cauto ottimismo», anche se gli espositori sono una cinquantina in meno rispetto all’anno scorso. Poche anche le iniziative per animare culturalmente l’evento. Tra queste c’è «On the Spot», uno spazio dove giovani curatori hanno allestito piccole mostre estemporanee con opere di artisti presenti nelle gallerie; e il Premio Euromobil, per artisti sotto i trent’anni, vinto dal serbo Despotovich.

Detto questo, Arte Fiera, articolata in tre grandi padiglioni (due per il contemporaneo e uno per il moderno), si conferma come la più importante fiera nazionale, centro strategico e termometro del sistema delle gallerie e del collezionismo italiano, quello aperto anche all’arte internazionale ma meno condizionato dall’attrazione delle proposte delle fiere estere considerate più trendy (di cui Artissima a Torino cerca di intercettare e far propria la fascinazione). A confermare il peso della Fiera bolognese c’è un indubbio e costante successo di pubblico ma anche, ed è questo che interessa veramente i galleristi, una presenza più che soddisfacente dei principali collezionisti che, come sempre, sono seguiti dagli altri, nei limiti delle possibilità finanziarie.

Giuseppe Pero, della Galleria 1000Eventi di Milano, definisce in modo un po’ ironico la fiera come «nazional-popolare», nel senso che, in particolare degli artisti più famosi, vengono proposti i lavori meno importanti e più abbordabili, ma non per questo di minor qualità. Per quanto riguarda le quotazioni di vertice, quelle di cui si parla di più (a prescindere dalle tendenze), si va da una scultura di Anish Kapoor in vendita a 800 mila euro, proposta dalla dinamicissima Galleria Continua, ai 650 mila euro di un quadro di Botero, esposto dalla Galleria Contini. Ma i veri protagonisti sono da un lato gli esponenti dell’Arte Povera e dall’altro quelli della Transavanguardia.

In entrambi i casi, ha avuto un peso notevole la serie delle recenti mostre in Italia. Ma c’è una differenza. I poveristi, considerati ormai classici in ascesa, sono presenti per lo più con opere non storiche. Per esempio: alla Galleria Oredaria una potente stella di Zorio costa 150 mila euro; un grande tappeto di Boetti vale per Zonca & Zonca 120 mila euro; e un polittico concettuale di Paolini 72 mila euro da Alfonso Artiaco. I Transavanguardisti, un po’ in crisi dal punto di vista delle quotazioni, vengono proposti, per esempio, con dipinti degli anni 80 da Poleschi a 160 mila (Chia) e a 170 mila (Palladino), anche se per quanto riguarda quadri più recenti i prezzi sono molto più bassi.

Nel settore delle gallerie che si interessano al moderno, troviamo lavori anche notevoli di grandi artisti, come i bellissimi disegni meccanici degli anni 10 di Picabia che costano fino a 180 mila euro (Galerie 1900-2000 di Parigi) o opere di Paul Klee alla Galerie Beck&Eggeling che vanno dai 420 mila di un olio ai 35 mila di un disegno. Ma ci sono anche i grandi italiani come Burri (con una personale alla Glerie Sapone), Afro, Vedova, Manzoni, Castellani e Bonalumi. Dall’altro lato, quello degli artisti emergenti, economicamente più abbordabili, non mancano certo occasioni interessanti, come quelle di Tucci Russo che presenta raffinate sculture di Caravaggio e Gennari intorno ai 10 mila euro, o lo Studio Trisorio con lightbox di Rafaela Mariniello a prezzi analoghi, o anche La Galerie Italienne di Parigi che presenta torinesi come Grassino e Sciaraffa. E non mancano, naturalmente i lavori fotografici, da quelli dei maestri come Ghirri e Basilico (acquistabili a poche migliaia di euro) a quelli degli artisti più giovani, specialisti di elaborazioni digitali spettacolari, tra cui spicca per esempio la tedesca Claudia Rogge proposta dalla Glerie Voss di Düsseldorf.

FONTE: Francesco Poli (lastampa.it)