venerdì 26 ottobre 2012

CENTO PITTORI A VIA MARGUTTA: PINACOTECA EN PLEIN AIR



All’ombra del Pincio, dal 31 ottobre al 4 novembre prossimi, torna Cento Pittori a Via Margutta, la celebre mostra d’arte en plein air che si svolge due volte l'anno, dal 1953, e ora arriva alla sua novantaduesima edizione. La bella strada, storico rifugio di pittori, scultori, artigiani, musicisti e poeti, diventerà la cornice per migliaia di opere realizzate con le tecniche più diverse da artisti rigorosamente selezionati e caratterizzati da linguaggi espressivi diversi. Alcuni di loro provengono dall’estero: sono rappresentati, infatti, oltre all’Italia, anche Argentina, Australia, Cuba, Grecia, Mozambico, Olanda, Libano, Polonia e Perù.

Un omaggio che si rinnova periodicamente per quest’angolo di Roma ma anche per i tanti leggendari personaggi del passato che avevano eletto Via Margutta a teatro della propria vicenda artistica ed esistenziale: un nome per tutti, quello della pittrice Novella Parigini, simbolo stesso della Dolce Vita, che si battè strenuamente contro la speculazione edilizia che già negli anni Cinquanta minacciava gli atelier e le botteghe della strada.

FONTE: arte.it

domenica 21 ottobre 2012

Lezioni di danza, corse ippiche e toilette. In mostra, tutta la modernità di Degas



A Torino, alla Promotrice delle Belle Arti, sfilano 80 opere del maestro impressionista francese prestate dal Musée d'Orsay di Parigi. In scena, tutti i temi cari al pittore, dalle ballerine ai nudi


Tutti pazzi per le ballerine, i nudi, caffè chantant e le corse ippiche, i soggetti prediletti, ma mai scontati o banalizzati, da Edgar Degas. Il sopraffino maestro dell'impressionismo è davvero il protagonista di questa stagione espositiva autunnale. Dopo la superba retrospettiva dedicatagli dalla Fondazione Beyeler di Basilea, inaugurata da poco, ora è la volta della torinese Promotrice delle Belle Arti che dal 18 ottobre al 27 gennaio offre una panoramica mozzafiato sulle opere dell'artista francese provenienti dalle collezioni del Musée d'Orsay di Parigi.

Sotto la cura di Xavier Rey, conservatore del d’Orsay e grande specialista di Degas, sfilano un'ottantina di lavori, tra dipinti, disegni e sculture, che ripercorrono tutta la parabola creativa del pittore (1834-1917), restituendone la personalità "autonoma" lontanissima dalla poetica dei compagni impressionisti. Seppur uscito all'aperto, la sua ricerca acuta non sceglieva d'immergersi nella totalità della natura, preferiva altri temi guizzanti di vitalità, captando il movimento guizzante dei cavalli, o le esercitazioni delle ballerine, gli effetti di movimenti negli spogliatoi o nelle sale prova, o le donne negli atti più intimi di bagnarsi, asciugarsi. Soggetti immortalati con tagli prospettici arditi, quasi da frame cinematografico, prediligendo l'immediatezza di gesti e gli atteggiamenti più scomposti, colti con una straordinaria vena realistica. Una resa del movimento che influenzerà molti artisti della sua epoca, tra cui Toulouse-Lautrec. Quella di Degas sarà una ricerca spasmodica dell'essenza della verità che culminerà nella sua "Ballerina" scolpita con tanto di vero tutù in tulle, saggio pionieristico dell'iperrealismo.

"Figura di collegamento tra il classicismo ottocentesco e le avanguardie del primo Novecento, ammirato dai Nabis, da Matisse e da Picasso, Degas è un impressionista paradossale - racconta  Xavier Rey - Benché il paesaggio non sia totalmente assente dalle sue preoccupazioni, fin dai tempi delle mostre impressioniste si compiace di distinguersi dai colleghi per concludere, alla fine della sua vita: 'Impressionismo non significa nulla. Qualsiasi artista coscienzioso ha sempre restituito le proprie impressioni. Gli impressionisti hanno bisogno di una vita naturale, io di una artificiale'.  Ecco, egli ci lascia così un’opera di insondabile profondità, che suscita nell’osservatore un intenso piacere e al tempo stesso continua a stimolare la riflessione sulle sfide plastiche della rappresentazione".

La parabola di Degas parte in mostra con due ritratti, l'Autoritratto del giovane artista (1855) e quello del nonno Hilaire de Gas (1857), che si era trasferito in Italia e da cui il nipote soggiorna per tre anni all'inizio della sua attività. Un legame con l'Italia testimoniato soprattutto dal capolavoro "La Famiglia Bellelli (Ritratto di famiglia, 1858-1869)", opera che solo in rarissime occasioni ha lasciato il museo parigino, anche per le sue considerevoli dimensioni (2 x 2,5 metri). Il mondo della Parigi di fine Ottocento con i suoi caffè frequentati da artisti, letterati, musicisti, viene evocato da opere come L'orchestra dell'Opéra (1870), Donne fuori da un caffé la sera (1877). Si apre poi una parentesi sul paesaggio, tema tra i meno conosciuti in Degas, dove i pastelli testimoniano un livello di virtuosismo unico.

E ci lascia sedurre dai soggetti più popolari, i cavalli, cui Degas comincia ad appassionarsi dal ritorno a Parigi nel 1859, frequentando a lungo l'ippodromo di Longchamp. Si continua con le celeberrime ballerine celebrate a suon di tecniche più disparate, tra olio, pastello, gouache, accanto alle sculture in bronzo, tra cui la celeberrima Ballerina di quattordici anni (fusione eseguita tra il 1921-1931), alta circa un metro e abbigliata con un tessuto di tulle. Gran finale, con il nudo femminile, esemplificato dal capolavoro a pastello "Donna alla toilette che si asciuga il piede" (1886).

Notizie utili - "Degas. capolavori dalle collezioni del Musée d'Orsay di Parigi", dal 18 ottobre al 27 gennaio 2013, Palazzina della Società Promotrice delle Belle Arti in Torino, viale B. Crivelli, 11.
Orari: tutti i giorni: 10-19.30, giovedì: 10-22.30, chiuso martedì.
Ingresso: intero €12, ridotto €9.
Informazioni: 011-5790095
Catalogo: Skira.

FONTE: Laura Larcan (repubblica.it)

venerdì 19 ottobre 2012

Viaggio tra i tesori del Tibet. Da Gengis Khan al Dalai Lama



A Treviso, la Casa dei carraresi accoglie la mostra-spettacolo sul Popolo delle Nevi. Oltre 300 reperti dal '300 ad oggi escono per la prima volta dai Musei statali della Cina e del Tibet


Trentacinque anni in Tibet. Una vita, per Adriano Màdaro, giornalista e scrittore esperto mondiale della Cina, definito dalla stampa cinese "un moderno Marco Polo", che ha costruito la grande mostra "Tibet. Tesori dal Tetto del Mondo" dal 20 ottobre al 2 giugno in scena - come un autentico spettacolo - nelle sale della Casa dei Carraresi. Ci sono voluti due anni specifici di sopralluoghi nelle città tibetane di Lhasa, Shigatze e Gyantze, per preparare questa impresa culturale che ha fatto uscire per la prima volta dai Musei Statali della Cina e del Tibet, un patrimonio di oltre 300 preziosi reperti databili dal XIV secolo ai tempi nostri. Non certo un traguardo estemporaneo, ma frutto di un complesso rapporto intrecciato dal curatore con il Governo Cinese dal 1976 ad oggi.

Il risultato è un repertorio di oggetti sacri, manufatti preziosi, strumenti musicali, dipinti, statue e fotografie (compresi i repottage dello stesso Màdaro) che documentano l’arte, la storia, la religione del cosiddetto “Popolo delle Nevi” (un piccolo grande tesoro che ha volato da Pechino per 12mila chilometri chiuso in 26 casse per un peso complessivo di 5 tonnellate). D'altronde, negli ultimi trentacinque anni, Màdaro ha compiuto 168 viaggi in Cina, con lunghi soggiorni e percorrendo anche le regioni più remote, dalla Mongolia al Tibet, dalla Manciuria all’isola di Hainan. Nel 1988 è stato il primo giornalista occidentale a viaggiare nella Corea del Nord fino al 38° parallelo, nel 1990 ha assistito alle prime elezioni democratiche della Mongolia a Ulan Bator.
Affiancato da una commissione scientifica costituita dai maggiori tibetologi cinesi, Màdaro ha orchestrato i reperti in un percorso di forte impatto scenografico per restituire al visitatore l'essenza di una civiltà antica. Si parte dalla storia, ricostruita con documenti di varie epoche, che ha visto protagonista l’altopiano tibetano attraverso i secoli fin dai tempi nei quali Gengis Khan lo incluse nel grande Impero mongolo-cinese del XIII secolo.

Una chicca sono i doni che i vari Dalai Lama presentarono alla Corte imperiale di Pechino e le antiche statue del Buddismo tantrico al quale si erano convertiti gli imperatori Ming e Qing. Sfilano, poi, le divinità buddiste tibetane tra statue, dipinti religiosi, oggetti di culto tuttora usati nei monasteri e nei templi durante le cerimonie rituali (spiccano anche oggetti realizzati con ossa umane, compresa la tazza sacra costituita da una calotta cranica rivestita d’oro), per restituire al pubblico la complessità del Buddismo tantrico della setta dei Berretti Gialli, alla quale appartengono i Dalai Lama fin dall’inizio dell’istituzione della loro carica.
Protagoniste anche le “Tangke”, i famosi dipinti sacri che illustrano le storie del principe Siddharta (il Budda storico) e celebrano la ritualità nei monasteri e nei templi con la raffigurazione dei Dalai Lama e dei monaci nelle loro attività religiose. A completare il viaggio alla scoperta del "Popolo delle Nevi", le famose maschere divinatorie indossate dai monaci nelle danze rituali. Per chiudere con la tradizione folcloristica, evocata con abiti, ornamenti, gioielli e oggetti di uso quotidiano.

Notizie utili - "Tibet. Tesori dal Tetto del Mondo", dal 20 ottobre al 2 giugno 2013, Casa dei Carraresi. Treviso
Orari: lunedì, martedì, giovedì 9 - 19, mercoledì 9-21, venerdì, sabato e domenica 9-20.
Ingresso: unico €13, ridotto ragazzi (18 anni) €10.
Informazioni: tel. 0422513150, www.laviadellaseta.info 2

mercoledì 17 ottobre 2012

Aldo Sardoni. Nel Tempo Sospeso



In mostra le opere fotografiche di Sardoni e le sculture dell'artista Padua


Inaugura oggi e sarà visibile fino al 3 novembre 2012 presso lo Spazio Anna Breda a Padova la mostra personale di fotografia dell’artista Aldo Sardoni arricchita dalle opere scultoree dell’artista Luca Padua. L'evento è a cura del critico Gigliola Foschi.

Le "pitture fotografiche" di Sardoni

Le opere di Aldo Sardoni sono delle vere”pitture fotografiche”. I lavori si nutrono di tradizione, sollecitando il nostro immaginario con delicatezza. Le fotografie nascono dal bisogno di far rivivere un universo imbevuto di storia dell’arte in cui si sente l’influenza dei grandi del passato, dal Caravaggio a George de la Tour. L’occhio fotografico dell’artista vuole cogliere, attraverso i personaggi scelti dalla strada, il mistero e l’anima dell’uomo. La luce che affiora sono i lumi delle candele, una luce calda che si confronta con l’oscurità della notte e da cui emergono volti e corpi che trasformano le immagini in qualcosa di materico e misterioso. Il supporto scelto dall’artista è la tela, quasi a volere ulteriormente sottolineare la necessità di fare un viaggio a ritroso nel tempo…

Le sculture di Padua

Le sculture di Luca Padua, ben si accostano alle immagini di Aldo Sardoni. Il fil rouge che le unisce è il taglio volutamente intimo e antimodernista di questa Mostra. L’artista plasma le sculture lasciando intravedere il suo rapporto fisico ed emozionale sulla materia trattenendo l’energia e le tensioni contenute nell’abbozzo. Le opere di Luca Padua si pongono infatti in una linea di continuità con le sculture di grandi Maestri quali Manzù , Rodin, a cui l’autore ha dedicato l’opera “ Omaggio a Rodin” nel 2006.

Note Biografiche di Aldo Sardoni

architetto e fotografo umanista. Nasce a Roma e si laurea in Architettura con Franco Purini. Studia a Venezia quando Italo Zannier insegnava Storia e tecnica della fotografia e Massimo Cacciari Estetica. Autore segnalato a Milano per il premio “ la qualita’ creativa in fotografia professionale” e Guadalajara Messico per Los Ojos del Tiempo.

Note biografiche di Luca Padua

nasce a Firenze nel 1961. Studia a Roma dove vive e lavora. Si laurea in neurologia. Passione, arte, cultura, manualità…. ingredienti che fanno di lui uno scultore a tutto tondo. Personali: Orbetello, Sala del Frontone di Talamone; Padova, Sala della Gran Guardia; Padova, La Forma del Libro; Roma, La lava degli dei; Roma, Dea fragile.

  • Scheda Tecnica

  • Aldo Sardoni. Nel Tempo Sospeso
    dal 12 ottobre al 3 novembre 2012
    Inaugurazione: venerdì 12 ottobre, ore 18.30
  • Curatore:
    Gigliola Foschi
  • Spazio Anna Breda
    Padova, Via S. Francesco, 35
  • Info:
    Tel. Fax: (+39) 049 8774401
    cell. (+39) 329 2312572

martedì 16 ottobre 2012

Canottieri, finestre e forchettoni. A Venezia l'universo Capogossi



La Guggenheim Collection celebra il pittore romano protagonista della stagione informale. Oltre 70 opere ripercorrono tutta la parabola artistica, dal tonalismo figurativo all'astratto, con opere inedite e raramente esposte


VENEZIA - Giuseppe Capogrossi conquista subito l'immaginario collettivo come artista "del segno". Delle "superfici", per usare il suo termine scientifico, ma anche dei "forchettoni" e dei "pettini" che più "volgarmente" hanno apostrofato i suoi capolavori. Protagonista monumentale della stagione informale (a braccetto con i "tagli" di Fontana e i "sacchi" di Burri), il romano Capogrossi (1900-1972) ha però tutta una corposa parabola figurativa precedente e preparatorio alla svolta astratta, alimentata dagli anni '30 alla fine dei '40 (galeotto anche un viaggio a Parigi) da una sua personale ricerca nel tonalismo pittorico, molto vicino al figurativismo della Scuola Romana. Per restituire una visione profonda del talento di Capogrossi, entrambe le maniere pittoriche devono essere analizzate.

Ed è il percorso che offre la mostra "Capogrossi. Una retrospettiva", fino al 10 febbraio alla Peggy Guggenheim Collection con la sagace cura scientifica di Luca Massimo Barbero, realizzata in collaborazione con la Fondazione Archivio Capogrossi di Roma. Alla base della rassegna c'è una lunga ricerca in collezioni private e istituzioni museali (Centre Pompidou di Parigi, la Gnam di Roma, da cui proviene un significativo nucleo di opere, il Mart di Rovereto, la Gam di Torino, oltre al Guggenheim di New York) per mettere insieme un repertorio di oltre settanta opere tra dipinti e lavori su carta. Il risultato è un fine lavoro di ricostruzione della carriera di Capogrossi. Anno chiave, il 1933 quando il pittore partecipa, insieme a Corrado Cagli ed Emanuele Cavalli, alla stesura del "Manifesto del primordialismo plastico". 
 
Quasi un prologo alla sua produzione. Al '33 si riferiscono capolavori figurativi come I canottieri, Il temporale, La piena sul Tevere e L’Annunciazione. Quest'ultima grande tela, conservata al Pompidou, ritorna per la prima volta in Italia, dopo essere stata esposto a Parigi nel 1933 e in quell'occasione donata dal governo italiano al museo Jeu de Paume (acquisita dalle collezioni statali francesi). Lavori, questi, dove si respira, per dirla con Luca Massimo Barbero "un’atmosfera mistica e atemporale". Una vera chicca, poi, è la serie di Studi per finestre (1948-’49), rarissime prove pittoriche, esposte per la prima volta, che lasciano decifrare quelle gustose fasi sperimentali di transizione dalle forme naturali alla sintesi. Un cambiamento in atto che come un fantasma aleggia anche nel dipinto Le due chitarre (1948, Gnam di Roma). Gradualmente, e non inaspettatamente, ecco che si entra nella dimensione astratta più riconoscibile di Capogrossi, quando l'aura simbolista echeggia più vivida, come nelle Superficie 011 e Superficie 016 (soggiorno viennese del '49). Il "caso Capogrossi", come venne definito dalla critica dell'epoca, scoppia con la serie in bianco e nero, tra cui Superficie 021 (1949) e Superficie 678 (Cartagine, 1950), dove compare il suo segno universale, l'elemento "lunato dentato - come dice Barbero - articolato nello spazio talvolta in segmenti a catena, talvolta in macro-segni costituiti dal colore". Dal '51 in poi il segno di Capogrossi acquista una sua personalità strutturata, si dispone secondo ritmi accelerati, occupa la tela con sequenze dinamiche, si anima di cromatismi variegati, muta di dimensione e fluttua secondo giochi di incastri. Come ad orchestrare primitivi simboli o scritture generate da civiltà aliene. Sfilano tele presentate alla storica Biennale di Venezia del 1954, a opere come Superficie 28 (già Superficie 25), appartenuta al gallerista Leo Castelli, fino al monumentale ovale di 3 metri, Superficie 385 (1960), concepito per la turbonave Leonardo Da Vinci. Altro gioiellino, i rilievi e monocromi bianchi, quasi sconosciuti al grande pubblico.

Notizie utili
 - "Capogrossi. Una retrospettiva", dal 29 settembre al 10 febbraio 2013, Peggy Guggenheim Collection, Palazzo Venier dei Leoni, Dorsoduro 701, Venezia
Orari: 10.00 – 18.00, chiuso il martedì
Ingresso: intero €12, ridotto €10 (studenti €7)
Informazioni: 041.2405440
Catalogo: Marsilio Editori

FONTE: Laura Larcan (repubblica.it)

lunedì 15 ottobre 2012

Kandinsky nell’anima russa



I sogni di un ribelle prima dell’esilio. La nascita dell’astrattismo nei dipinti che riflettono la cultura della sua terra

Al di là della soglia - che dalla luminescenza solare dei lungarni pisani ci introduce in un atipico corridoio di luci artificiali e ombre - c'è un mondo antico ed esoterico, simbolico e folcloristico. Filatoi contadini, giocattoli di legno, vestiti tradizionali, ataviche novelle con rappresentazioni grafiche, personaggi mitici. E colori, con quelle tonalità così intense da inebriare il visitatore incantato e smarrito per questo salto quantico verso una Russia inattesa.
È la rappresentazione allegorica di quel plancton culturale del quale Wassily Kandinsky si cibò elaborando e trasmutando l'ormai insostenibile leggerezza della cultura europea (che aveva ammaliato e permeato la Grande Madre Russia e, dopo l'invasione napoleonica, aveva iniziato ad appassire) per guardare all'io individuale e all'io sociale, nascosti, rimossi, cancellati, sbiaditi forse come colori amorfi.
È lo stesso cibo che assaggia il visitatore, se pur in un frammento dell'anima piccolo e fugace ma così intenso da restare indelebile, immergendosi nella straordinaria e unica mostra sul padre dell'astrattismo che si inaugura da sabato sino al 3 febbraio del 2013 a Palazzo Blu di Pisa.
È un evento perché per la prima volta in Italia si svela il Kandinsky del periodo russo (1901-1921) e lo si mette a confronto con l'avanguardia del suo tempo, quella del suo Paese natale e quella della Germania, dove Wassily fuggì perseguitato dal regime sovietico. Così le opere di Alexej Jawlensky, Marianne Werefkin e Gabriele Munter (solo per citare alcuni nomi) si intersecano in questo cammino dell'arte, simbolica prima e astratta dopo, di un genio trafitto dal demone dell'arte fin da bambino ma rapito completamente, da avvocato, durante quel viaggio fondamentale, nella regione della Vologda, in Siberia, tra le izbe, le case rurali russe, decorate e colorate e i paesaggi, tanto da aver la sensazione, come scriveva entusiasta e commosso, di «vivere dentro un quadro».
Ed è proprio questa sensazione di realtà virtuale che si percepisce nel corridoio che ci introduce alle tredici sale della mostra in un percorso artistico (e anche un po' metafisico) alla scoperta di un pittore che da un simbolismo, se pur già diverso da quello dei suoi contemporanei, si proietta verso l'astrattismo di cui è l'artefice. Sono 150 le opere esposte a Palazzo Blu, una cinquantina di Kandinsky e le altre di contemporanei (russi e tedeschi), ma ci sono anche dipinti di Arnold Shöenberg (tra i quali un magico autoritratto), amico di Wassily, il genio austriaco inventore della musica dodecafonica. Che anch'essa, probabilmente, può essere in parte paragonata all'astrattismo di Kandinsky, una frattura epistemologica nell'arte del '900.
In una sala, accanto a «Macchia nera», il dipinto del 1912 con il quale l'artista abbandona ormai ogni riferimento figurativo, si sfiorano strumenti sciamanici tra i quali un tamburo, riprodotto (la macchia) nello stesso capolavoro. E sembra quasi di sentirlo vibrare, questo tamtam rituale, insieme a un'orchestra impossibile, che diffonde le cascate di note (e colori) della Sagra della Primavera di Igor Stravinskij.
Si cammina tra le sale che ripropongono i primi dipinti di Kandinsky, in quell'atmosfera simbolista del periodo di Murnau. Si scivola, senza accorgersene, incontro alle grandi tele dell'avanguardia russa e occidentale, intorno al Der Blaue Reiter, e i maggiori protagonisti della sperimentazione russa, da Michail Larionov alla Goncharova. E infine ecco i capolavori, prima della sua fuga dal regime sovietico, quando accetterà da Walter Gropius l'insegnamento al Bauhaus.
Nella sala del drago, se così possiamo chiamarla, l'emozione è al culmine. Ci sono le iconografie di San Giorgio nell'eterna lotta contro il mostro. E c'è la magia di un capolavoro di Wassily: «San Giorgio» (1911). Così, mettendo a confronto icone e dipinto, tradizione e astrattismo, si percepisce quel processo di decostruzione della realtà.
Poco più avanti, ecco la «sala delle barche»; e anche qui un dipinto di un pittore simbolista con le vele sul fiume serve a entrare in «Improvvisazione» (1910) e nell'«Improvvisazione» del 1917 con le «stesse» barche, gli uomini che remano, l'acqua, il cielo.
«È stata una sfida difficile quella di spiegare forse l'artista più concettoso nel Novecento», spiega Claudia Beltramo Ceppi, co-curatrice della mostra insieme Eughenia Petrova, direttrice del museo russo di San Pietroburgo.
Ma perché proprio Kandinsky? «Ci ha affascinato proporre questo periodo particolare della sua vita che segna la definitiva e totale immersione nella pittura - risponde Cosimo Bracci Torsi, presidente della Fondazione Palazzo Blu -. Inoltre, dopo il ciclo dedicato al Mediterraneo con mostre di grandissimo successo su Chagall, Mirò e Picasso, pensiamo a una serie di mostre dedicate all'astrazione».
FONTE: Marco Gasperetti (corriere.it)

giovedì 11 ottobre 2012

Formation, Cassander Eeftinck Schattenkerk



FORMATION, a cura di Camilla Boemio
Dal 18 ottobre 2012
Sede: Anteprima – Galleria d’arte contemporanea
Piazza Mazzini, 27 – 00195 Roma
Scala A, terzo piano
Orario: martedì – venerdì 15.30 – 19.00
Telefono: 06.37500282
Inaugurazione: Opening 18 Ottobre alle 19.00

La seconda mostra della galleria Anteprima d’Arte Contemporanea espone l’artista Olandese Cassander Eeftinck Schattenkerk, per la prima volta in una galleria Italiana. La personale è strutturata con un’ampia scelta di lavori, di varie serie, realizzati negli ultimi anni. Una panoramica poliedrica nella quale il visitatore potrà immergersi nel mondo scientifico, raramente presentato in modo così raffinato ed efficace. Dal testo critico di Camilla Boemio “Il fotografo é affascinato dalla natura del paesaggio, alla formazione della materia ed al suo mutamento. La ricerca delle riproduzioni e delle creazioni della natura hanno un ruolo fondamentale rispetto alla natura stessa. Schattenkerk allude nei suoi lavori fotografici alla natura archetipa. Crea un immaginario fantascientifico nel quale un mondo frammentato parallelo dentro e fuori la cosmografia di Crichton prende forma rivelandoci i particolari più astratti ed alieni.” L’artista sarà presente all’opening.
Bio artista:
Cassander Eeftinck Schattenkerk, è nato nel 1974 in Olanda, si è laureato alla Facoltà di Filosofia nella famosa Gerrit Rietveld Accademy ad Amsterdam. Da quando si è laureato nel 2007 vive e lavora ad Amsterdam, ed espone in vari progetti in Olanda ed all’estero. Nel 2008 gli è stato assegnato il premio della fotografia dell’Hyères Festival in Francia. Ha esposto in Olanda; all’ Amsterdam Centre for Photography, al Museo Waterland, alla Seelevel Gallery. Lo scorso anno ha partecipato al group shoe dell’ ISWA European Project al Museo Orto Botanico di Roma.

FONTE: artapartofculture.net

mercoledì 10 ottobre 2012

Nasce setup – art fair a bologna – fiera d’arte contemporanea indipendente- dal 25 al 27 gennaio 2013


Nasce a Bologna Setup Art Fair fiera d’arte contemporanea indipendente. La prima edizione si svolge nel capoluogo emiliano dal 25 al 27 gennaio 2013, in concomitanza ad ArteFiera 2013.
Ideata, organizzata e promossa da Simona Gavioli, Marco Aion Mangani e Alice Zannoni, Setup inserisce Bologna nel panorama internazionale delle città che da tempo ospitano, accanto alle proprie storiche fiere d’arte, manifestazioni analoghe incentrate sull’arte emergente. Non un evento off, ma una fiera parallela in linea con iniziative simili quali The Others (Torino), Just Mad (Madrid), Liste e Volta (Basilea), Frieze e Zoo (Londra), Slick (Bruxelles)Pulse (New York) e molte altre.
La scelta stessa del nome indica l’intenzione di proporre un arricchimento del sistema dell’arte tradizionale, sostenendo l’avvio di progetti espositivi e d’indagine realizzati da gallerie che vogliono rivolgere il proprio interesse all’arte emergente e che lanciano giovani talenti creativi.
La particolarità di Setup sta nel suo format innovativoOgni galleria dovrà proporre il lavoro di un giovane artista emergente, under 35, sul quale ha già rivolto l’attenzione, ma con cui non ha mai precedentemente collaborato, presentandolo insieme agli artisti in organico con il supporto critico di un giovane curatore.
Setup propone, dunque, di mettere in relazione le tre figure chiave del mondo dell’arte (artista, curatore-critico, gallerista) facendole collaborare anche in ambito fieristico, dove normalmente la sinergia è esclusa o non contemplata.
Il comitato scientifico, composto da Martina CavallarinValerio DehòViviana SivieroGiulietta Speranza, vaglierà le proposte delle gallerie, che potranno presentare il loro progetto a partire da settembre 2012 scaricando l’application-form dal sito www.setup-artfair.com.
A conclusione della rassegna, il comitato scientifico si trasformerà in giuria assegnando un premio al giovane artista emergente e uno alla galleria che l’ha proposto; la stessa si aggiudicherà uno spazio stand omaggio per la seconda edizione di Setup.
Setup avrà un’apertura serale, marginalmente alla chiusura di Arte Fiera. La location è ancora top secret.
Vernissage il 24 gennaio, con apertura al pubblico a partire dal 25 al 27 gennaio 2013.
Informazioni:
Simona Gavioli+39 339 3290120Marco Aion Mangani+39 392 6031331
Alice Zannoni+39 329 8142669
Pressoffice:Culturalia - Bologna, Vicolo Bolognetti 11
Tel. 051 6569105 fax 051 29 14955,
info@culturaliart.com  www.culturaliart.com

lunedì 8 ottobre 2012

Abdessemed, Algeria madre di tutti gli incubi


Protagoniste nei suoi lavori sono violenza e sopraffazione. Il Centre Pompidou di Parigi gli dedica un’ampia retrospettiva

La famosa testata di Zidane a Materazzi, durante la finale del campionato del mondo del 2006, è diventata il soggetto di un’enorme scultura in bronzo collocata nella spianata del Centre Pompidou. Moltissima gente entusiasta fa la fila per farsi fotografare accanto a questo monumento quasi pop, che non è certo il capolavoro del suo autore Adel Abdessemed. Meno allegri, e ben più inquieti e angosciati sono invece quelli che escono dopo aver visitato la mostra dell’artista algerino,che colpisce molto più duramente lo stomaco della testa del calciatore, perché il tema ossessivamente presente in tutte le sue opere è quello della forza drammatica e devastante della violenza, della sopraffazione e della morte a tutti i livelli, da quelli primari della lotta per la sopravvivenza naturale a quello della società umana in tutti i suoi aspetti individuali, sociali e politici.  

Non mancano nel lavoro di Abdessemed i rischi di una cinica e brutale spettacolarizzazione estetizzante di tutto ciò (il che accomuna molti artisti della sua generazione) ma è anche vero che l’artista è in grado di utilizzare le modalità anche estreme del sensazionalismo postmoderno in modo critico e problematicamente etico. Il punto di forza, essenziale, nella ricerca di Abdessemed è la capacità di caricare con inedita e autentica tensione estetica, anche con forti valenze simboliche e allegoriche, le sue realizzazioni dai video alle sculture modellate o assemblate, dalle grandi installazioni ai disegni. Le sue opere di più forte impatto fanno riferimento ai più traumatici avvenimenti storici e sociali contemporanei La straordinaria e gigantesca installazione Telle mère tel fils (2008), con pezzi di veri aerei trasformati in due serpentoni allacciati fra loro, allude alla tragedia dell’11 settembre 2001. Dei calchi di automobili carbonizzate (Practice Zéro tollerance,2006) ricordano le rivolte delle banlieues parigine. Un barcone pieno di neri sacchi di spazzatura (Hope) rimanda alla disperata situazione degli sbarchi clandestini. E una fredda sequenza di cerchi metallici spinati alludono ai campi di concentramento e in particolare a quello di Guantanamo. Insieme a questa che è la parte più politica del suo lavoro ci sono molti altri lavori che mettono in scena altre dimensioni di tragica violenza. La sequenza di sculture con Cristo in croce (Décor, 2011) realizzate con un agglomerato di fili spinati, è una violenta ma raffinata citazione dalla Crocefissione di Grünewald. Più criptico e complesso è il riferimento a Guernica, l’icona della tragica violenza bellica contro gli innocenti) che troviamo in «bassorilievo » che ha le stesse grandi misure del capolavoro di Picasso. Si tratta di un allucinante coacervo di animali morti (imbalsamati e semibruciati) che incrostano un’intera parete.Il titolo, tristemente ironico è Who’afraid of the big bad wolf (2011-12)? Accanto a questa tremenda visione di morte, è stato appeso al muro un quadro del 1622 di Monsù Desiderio che ha come soggetto l’Inferno. Il confronto serve come rimando allegorico ma anche, per cosi’ dire, a raffreddare, con un ingrediente della storia dell’arte, la brutalità dello choc dell’effetto del fuoco su un vero carnaio animale.  

In mostra ci sono anche dei lavori video precedenti.Quello più violento e inquietante si intitola Usine (del 2006) e mostra una fossa piena di animali di ogni genere (cani, galli, serpenti, rospi...) che danno vita a un tremendo spettacolo di aggressività e violenza. Di «struggle for the life», non così diversa da quella delle società umane. Per Abdessemed la violenza è una delle componenti essenziali dell’energia che anima tutta la natura. Il suo darwinismo anche sociale sembra non lasciar speranze. Ma forse una provocazione estrema come la sua può avere una funzione catartica, e aprire qualche spiraglio a prospettive più vitalmente positive

ADEL ABDESSEMED JE SUIS INNOCENT  
PARIGI, CENTRE POMPIDOU  
FINO AL 7 GENNAIO 2013 

FONTE: Francesco Poli (lastampa.it)

sabato 6 ottobre 2012

Ottava giornata del contemporaneo. Sabato 6 ottobre musei gratuiti


I Musei e i luoghi dedicati all'arte contemporanea in tutta Italia saranno accessibili gratuitamente sabato 6 ottobre, per l'Ottava giornata del contemporaneo. All'iniziativa promossa da Amaci (Associazione musei di arte contemporanea) stanno aderendo negli anni un numero crescente di strutture: si è passati dai 180 musei coinvolti nel 2005 ai circa 840 di quest'anno.  

Per l'occasione musei, gallerie, associazioni e luoghi d'arte, sia pubblici che privati, presenteranno artisti e nuove idee attraverso mostre, laboratori, eventi e conferenze.  

La Gam (Galleria d'arte moderna e contemporanea) di Torino, che ha organizzato le sue collezioni in orde tematico anzichè cronologico, il Museo Marino Marini di Firenze, che ospita le sculture dell'artista pistoiese, e il Mart di Rovereto che ospiterà la performance dell'artista austriaco Hermann Nitsch, sono soltanto alcuni degli operatori del settore coinvolti nell'Ottava giornata del contemporaneo. Maggiori informazioni e il programma degli eventi sono consultabili sul sito amaci.org .  

FONTE: lastampa.it

giovedì 4 ottobre 2012

Urban contest, grande mostra di street art a Roma


Sarà inaugurata a metà ottobre con i pannelli realizzati nell’estate scorsa dai partecipanti alla gara

Roma si prepara ad ospitare l’Urban Contest Gallery 2012, una grande mostra internazionale sulla street art. L’iniziativa è frutto dell’ accordo tra 21 Grammi, la società romana che ha ideato la manifestazione sull’arte urbana Urban Contest, e il Lanificio, la realtà che in 5 anni ha convertito parte dell’ex-Lanificio Luciani, stabilimento industriale nel quartiere Pietralata, in un contenitore di idee e progetti trasversali di musica, sperimentazioni visuali, arti performative. 

La mostra, ad ingresso gratuito, sarà inaugurata a metà ottobre. Vi saranno esposte oltre 50 opere realizzate da altrettanti giovani writers noti ed emergenti. Si tratta dei pannelli realizzati nell’estate scorsa a piazzale San Lorenzo dai 50 artisti italiani e stranieri che hanno partecipato alla gara, svoltasi nell’ambito della manifestazione San Lorenzo Estate.  

Le opere sono state create con le più diverse tecniche pittoriche: spray, pittura acrilica, olio, colori naturali, pennarelli, terra cruda, cartone, gesso, collage, stencil, poster, aerografia e molto altro ancora. Questa mostra sarà seguita da un’asta pubblica delle 50 opere, che si svolgerà a Roma ai primi di dicembre in collaborazione con la casa d’aste Minerva Auctions. 

FONTE: lastampa.it


mercoledì 3 ottobre 2012

Ecco la "Sistina del Foro Romano". Porte aperte a Santa Maria Antiqua



Fino al 4 novembre la Soprintendenza ai beni archeologici di Roma apre il cantiere di restauro della chiesa capolavoro assoluto di arte bizantina. Con visite guidate speciali vengono anticipati al pubblico i risultati dei lavori che hanno riportato all'antico splendore 250 metri quadrati di pitture


"Più di qualunque altra vestigia, la chiesa racconta il passaggio dalla Roma imperiale all'epoca cristiana e il dialogo con Bisanzio. Un'evoluzione che porta dritto fino a Giotto". E' questa l'importanza di Santa Maria Antiqua al Foro romano, come racconta la Soprintendente ai beni archeologici di Roma Mariarosaria Barbera. Un capolavoro assoluto con i suoi 250 metri quadrati di affreschi databili dal VI all'VIII secolo a inanellare storie di Santi e della Bibbia - che fanno del monumento la Cappella Sistina del Medioevo - che riapre al pubblico dopo otto anni di restauro con speciali visite guidate al cantiere. 

Fino al 4 novembre, su prenotazione, sarà possibile accedere al monumento per gruppi di massimo 25 persone ciascuno. Ogni giorno, dal lunedì al venerdì (9:30-14), sono previsti dieci gruppi che possono rimanere all'interno della chiesa per 45 minuti. Un'apertura straordinaria di due mesi al cantiere di restauro, fortemente voluta dalla Soprintendenza ai beni archeologici, che permette di ammirare i meravigliosi cicli pittorici prima dell'ufficiale inaugurazione prevista alla fine del 2013. "Le storie dei santi e della Bibbia nella cappella di Teodato, nelle navate, sulle colonne e nell'abside della chiesa, dove si sovrappongono ben tre diversi affreschi - sottolinea la Barbera - permettono di cogliere i mutamenti dell'arte bizantina, che, nei secoli, si differenzia per gli atteggiamenti, le linee di contorno, l'umanità delle figure e il movimento". 

Le pitture di Santa Maria Antiqua, infatti, vanno interpretate come testimonianze uniche, a Roma e nel mondo, per la conoscenza dello sviluppo dell'arte altomedievale e bizantina. Infatti, quasi la totalità del patrimonio pittorico coevo, esistente nell'Impero Bizantino, andò distrutto durante l'Iconoclastia dell'VIII secolo. Ma è anche un gioiello dalla salute precaria per le difficoltose condizioni conservative, che ha sofferto per le infiltrazioni d'acqua e l'alta umidità, dettate anche dalla singolare storia che l'ha vista protagonista. 

FONTE: Laura Larcan (repubblica.it)

martedì 2 ottobre 2012

Angelo Bozzola, lo stupore della natura e della meccanica



Nato da una famiglia contadina, Angelo Bozzola trasferì nell’arte l’amore per la natura e lo stupore per la genesi delle sue infinite forme. A ripercorrere la carriera dell’artista galliatese è il Museo Regionale di Scienze Naturali, con una retrospettiva in corso dal 14 settembre al 14 ottobre, realizzata in collaborazione con la Fondazione Angelo Bozzola. Il percorso, curato da Martina Corgnati, include un centinaio di opere: dipinti, disegni, progetti e sculture mobili.
Scoperta la sua vocazione nel 1937, a soli 16 anni, Bozzola iniziò a realizzare dipinti astratti e strutture in ferro, accostando alla sperimentazione materica lo studio morfologico degli organismi viventi. Tappa fondamentale della sua carriera fu l’adesione nel 1954 al Movimento di Arte Concreta, neoavanguardia che vanta tra i suoi fondatori Gillo Dorfles e Bruno Munari.
È nelle sculture e nei dipinti di questi anni, che l’artista galliatese sviluppa la forma trapezio-ovoidale, addolcendo il rigore geometrico dei lavori precedenti, ne è un esempio «Funzione di forma concreta» del 1956. Il suo talento non sfuggì dunque agli occhi di Michel Tapié, critico francese inventore del termine «Informel», trasferitosi a Torino negli anni ’60. Al loro rapporto di stima e amicizia è dedicata un’intera sezione della mostra, che culmina nel grande «Polittico» di Bozzola presentato da Tapié nel 1967. Degli anni ’70, invece, è la piccola incursione nell’ambito dell’Arte Cinetica, rappresentata da «Il libro tecnoscultura operazionabile», in cui la dimensione organica cede al fascino della meccanica e della tecnologia.
Non manca infine l’ultimo trentennio dell’artista, un lungo periodo in cui le forme si sgretolano lentamente, sino a diventare segni silenziosi, tracce incise nella pietra, mappe misteriose che evocano la memoria della Terra e dell’uomo, come documenta la serie «Origine» del 1988. Instancabile sperimentatore, Angelo Bozzola continuerà a produrre fino al 2010, anno della sua scomparsa.

FONTE: J.D. (ilgiornaledellarte.com)

lunedì 1 ottobre 2012

Dal dono alla solidarietà: 100 opere all’asta a Modena per la ricostruzione


(Una delle opere all'asta: quadro di Achille Perilli)

A Palazzo Santa Margherita il 6 ottobre, per nuove strutture nell’Emilia terremotata

Modena. «L’arte difficile del dono» è stato, nelle parole di Enzo Bianchi, uno dei temi del recente Festival Filosofia di Modena, Carpi, Sassuolo. A dare idealmente corpo a quel discorso,Modena ospiterà una nuova asta benefica d’arte a favore della ricostruzione di scuole, biblioteche e centri di aggregazione nei territori dell’Emilia-Romagna colpiti dal terremoto. Dopo quella di fotografie del 27 giugno, che ha permesso di raccogliere 115mila euro, gli stessi promotori (Galleria Civica di Modena, Fondazione Cassa di Risparmio – Fondazione Fotografia, in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni storici artistici ed etnoantropologici di Modena e Reggio Emilia) organizzano «Bid for Build», un’asta di dipinti e disegni sabato 6 ottobre, Giornata del Contemporaneo voluta da Amaci, nel Palazzo Santa Margherita. Banditore d’eccezione dell’asta sarà di nuovo Filippo Lotti, ad di Sotheby’s Italia; tra i cento lotti, donati da collezionisti, artisti, archivi, galleristi, vi sono opere di Afro, Alinari, Barni, Bodini, Borra, Broggini, Caccioni, Chersicla, Chighine, Corsi, Dangelo, Della Torre, Del Pezzo, Depero, Dorazio, Fioroni, Galliani, Guttuso, Jori, Lavagnino, Levini, Maccari, Manzù, Marchegiani, Marussig, Mastroianni, Meloni, Milani, Minguzzi, Montesano, Montessori, Morlotti, Novelli, Perez, Perilli, Peverelli, Pozzati, Prampolini, Rambelli, Romiti, Salvo, Savinio, Severini, Soldati, Stefanoni, Sughi, Tamburi, Tosi, Veronesi, Viani, Zancanaro. Il catalogo dell’asta è visionabile suwww.galleriacivicadimodena.it e www.fondazionefotografia.it.
FONTE: Sandro Parmiggiani (ilgiornaledellarte.it)