martedì 26 febbraio 2013

Quella modernità a passo lento nell'Italia del Ventennio



Il Novecento protagonista a Forlì

A Forlì una grande mostra sulla pittura e la scultura nel nostro Paese tra le due guerre. Carrà, De Chirico, Casorati, Balla e gli altri alle prese con la spinta innovativa di un "secolo sbocciato tardi", il tradizionalismo e i compromessi con il regime


"Il Novecento ci ha messo molto a spuntare. L'Ottocento non poté finire che nel 1914. Il Novecento non comincia che con la guerra", così scriveva Massimo Bontempelli, uno dei più importanti esponenti della cultura del Novecento, e questo è l'esatto arco temporale che la mostra, aperta ai Musei San Domenico di Forlì, ha inteso esplorare.  Un progetto di riflessioni e indagini lungo un biennio perché iniziato lo scorso anno con  "Wildt, l'anima e le forme tra Michelangelo e Klimt",  e si appresta ora a concludersi, appunto con la mostra "Novecento. L'arte in Italia tra le due guerre" che rimarrà aperta fino al prossimo 16 giugno. 

Curata da Fernando Mazzocca, è divisa in 16 sezioni e presenta i grandi temi affrontati nel Ventennio dagli artisti che aderirono alle direttive del regime fascista e non solo. Il clima artistico che permeava quel periodo sembrava essere perennemente teso a ricercare un nuovo rapporto tra le esigenze della contemporaneità e la tradizione, tra l'arte e il pubblico. Superata la devastazione della "grande guerra" con l'affermarsi dell'ideologia fascista e la crisi delle avanguardie come il Futurismo, si faceva largo nel mondo delle arti la ricerca di un più tranquillizzante "ritorno all'ordine". Non era un andare contro la modernità, ma una necessità di guardarsi indietro e cercare una sintesi nuova partendo dalla classicità: ne è espressione la pittura di Carlo Carrà che passa a catalogare esempi di forme antiche, o quella di Giorgio De Chirico che proponeva un ritorno della figura umana, rappresentando soggetti evocativi in paesaggi metafisici. In esposizione si incontrano poi molti altri protagonisti del tempo, pittori come Severini, Casorati, Balla, Depero, Cagnaccio di San Pietro, Renato Guttuso, e scultori come Martini, Andreotti, Baroni, Manzù, Rambell.

Oltre alla pittura e alla scultura, l'esposizione intende dare uno sguardo il più possibile allargato al gusto di quel 
periodo,  si trovano quindi opere di grafica, cartelloni murali, mobili, oggetti d'arredo, gioielli, abiti; una visione a tutto tondo del rapporto tra le arti e le espressioni del costume e della vita, che mette a confronto artisti e opere di varia natura.  

Una importante e ricca sezione in  mostra affronta anche il legame culturale e formale con la prospettiva razionalista e il dibattito sul classicismo in architettura e nell'urbanistica. Attraverso progetti, immagini e ricostruzioni, è testimoniata la razionalizzazione dei vecchi centri storici, nel ripensamento dei rapporti tra città e campagna, nella fondazione di città nuove si manifesta una visione plurale che tenta una sintesi nuova tra monumentalità e modernità. In quegli anni nasceva anche il made in Italy, quel design, celebrato nelle Triennali milanesi, che attraverso la riproduzione industriale stringeva il legame tra arte ed espressione della vita.
Infine i grandi temi che attraversarono e che caratterizzarono il periodo sono tutti ben rappresentati: la maternità,  il ritorno al mito, il mare, la terra, la grande urbanistica, l'amore per la tradizione, cui si aggiunse in ultimo la crisi, quello che portò alla più ampia tragedia nella quale fu trascinato il Paese.

NOTIZIE UTILI -  "Novecento. L'arte in Italia tra le due guerre"
Musei  San Domenico 
Piazza Guido da Montefeltro,12  -  Forlì
Da sabato 2 febbraio a sabato 16 giugno 2013
Ingresso: da euro 11.00

FONTE: repubblica.it

venerdì 22 febbraio 2013

Le sorprese della villa di Eros in Turchia


In un'antica città sul confine con la Siria ritrovato un prezioso mosaico

"Eros a cavallo di un ippocampo" fa bella mostra di sé in un antico mosaico in marmo, vetro e gesso appena ritrovato da una squadra di archeologi turchi a Yumurtalik, una piccola città del sud della Turchia, a poca distanza dalla frontiera siriana e da Adana, quella che un tempo era la città di Antiochia di Cilicia. A riferirlo sono i giornali di Ankara. La scoperta è stata fatta nel corso di scavi condotti in una villa, anche questa ritrovata di recente, nella quale compaiono altre rappresentazioni di Eros. Difficile al momento datare con precisione il mosaico che, secondo gli esperti, potrebbe essere di epoca romana o dell'inizio di quella bizantina.
N.S.

ARTE.it





giovedì 7 febbraio 2013

Cinquanta opere di Basquiat alla Gagosian di New York


Fino al 6 aprile 2013, una mostra ripercorre la breve ma folgorante carriera dell’artista


La galleria Gagosian di New York apre una grande mostra dedicata a Jean-Michel Basquiat, visitabile fino al 6 aprile 2013. Con oltre cinquanta opere provenienti da collezioni pubbliche e private, la mostra ripercorre la breve ma folgorante carriera dell’artista, che si concluse con una morte precoce, all’età di ventisette anni. Una nuova opportunità per tornare a considerare il ruolo centrale di Basquiat nella sua generazione artistica come un ponte tra le culture, a un trentennio dalla presentazione dei suoi lavori che Larry Gagosian ospitò nella sua sede di Los Angeles per la prima volta nel 1983.

Giacca, cravatta, dreadlock e piedi nudi: così si affaccia da una foto la sua immagine carismatica, ma Basquiat era soprattutto un talento unico, capace di fondere disegno e pittura, storie e poesia, in un linguaggio e in contenuti artistici tutti suoi. Combinando strumenti tipici dei graffiti (pennarelli e smalto spray) con quelli delle belle arti (olio, acrilico, collage), i suoi migliori dipinti restano in bilico tra opposte forze estetiche ed espressive: controllo e spontaneità, ferocia e umorismo, civiltà e primitivismo.

L’iconografia di Basquiat riflette l’ampiezza delle sue ispirazioni, dalla poesia classica all’anatomia umana, dallo sport alla musica, dalla politica alla filosofia, dalle arti africane a Picasso, de Kooning, e Rauschenberg. Nelle tele dai colori vivaci, forti, nelle figure schematiche dai volti simili a maschere, attorniate da segni, simboli e parole, i suoi pungenti commenti sulla realtà culturale e sociale raggiungono la costruzione frenetica di una composizione degna del miglior jazz sperimentale.

FONTE: lastampa.it

mercoledì 6 febbraio 2013

Da Corot a Van Gogh, 116 opere “en plein air” in mostra a Madrid


Al Museo Thyssen-Bornemisza fino al 12 maggio 2013


Pur non essendone gli inventori, è nella pittura degli impressionisti che la tecnica del dipingere all’aperto ha trovato la sua massima espressione. La prima mostra del 2013 al Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid analizza le origini e lo sviluppo di questo nuovo approccio dell’arte, a partire dalle prime uscite dei paesaggisti di fine settecento alle tarde interpretazioni espressioniste che risalgono al primi anni del XX secolo.  

Impressionismo e pittura all’aperto. Da Corot a Van Gogh è presentata nelle gallerie per esposizioni temporanee del Museo dal 5 febbraio e riunisce 116 opere. Tra gli artisti presenti ci sono pionieri della pittura a olio «en plein air», come Pierre-Henri Valenciennes e Thomas Jones, oltre a Turner, Constable, Corot, Rousseau, Courbet, Daubigny, Monet, Sisley, Renoir, Seurat, Van Gogh e Cézanne.  

Fino al 12 maggio la vasta rassegna permetterà di seguire nella sua totalità il fenomeno di questa pratica artistica, che ha rivoluzionato la pittura ottocentesca nel suo complesso e aperto nuove e inaspettate possibilità alla pittura di paesaggio. 

FONTE: lastampa.it

martedì 5 febbraio 2013

Padova celebra Bembo, il cardinale-Mecenate



Una grande mostra che raccoglie le opere che l'alto prelato, grande linguista e amante dell'arte, radunò a casa sua in quello che fu il "primo museo del Rinascimento". Si potrà vedere fino al 19 maggio


Avere Ludovico Ariosto per amico, Isabella d'Este come accompagnatrice al liuto, Lucrezia Borgia come amante e un papa per diretto interlocutore nonché "datore di lavoro", non è da tutti: c'è questo, e molto altro, nella biografia di uno degli uomini più potenti del Rinascimento, il cardinale Pietro Bembo. Accreditato nelle storie letterarie come "fondatore della lingua italiana", magari poco menzionato o tenuto in disparte rispetto ad altre figure forse più popolari, il Bembo, molto ben conosciuto agli studiosi, fu una figura centrale del suo tempo e in particolare lo fu a Padova, la città dove nacque (nel 1470), dove studiò e poi tornò a vivere alla morte di Leone X dè Medici, il papa che lo fece suo segretario e plenipotenziario. 

Per la prima volta ora la sua città gli dedica una grande mostra nella sede del Palazzo del Monte, con l'intento di ricostruire la sua straordinaria collezione d'arte, definita casa delle Muse, ovvero Museo, "il primo museo del Rinascimento": un'impresa che ha significato raccogliere insieme, per la prima volta dopo cinque secoli, capolavori dispersi per il mondo per riportarli "a casa". E fu proprio nella sua spartana abitazione di via Altinate che il Bembo tenne insieme una gran messe di opere, donate, acquisite, scelte nell'ambito della produzione di alcuni geni del tempo, all'epoca allestite nei saloni del palazzo e nei sontuosi giardini ricchi di essenze esotiche e rare. Sono capolavori di maestri come Raffaello e Giorgione, Perugino e Mantegna, Bellini e Tiziano a potersi vedere per la prima volta tutte insieme nell'ambito dell'esposizione a cura di Guido Beltramini, realizzata con il sostegno della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, visitabile dal 2 febbraio al 19 maggio. Alla morte di Bembo i capolavori della casa, ora diventata Museo della Terza Armata, vennero venduti dal figlio Torquato e si dispersero nel mondo: oggi sono conservati nei grandi musei internazionali che li hanno concessi eccezionalmente in prestito in occasione della mostra padovana.

Così come per la lingua italiana Bembo scelse a modello di purezza il Petrarca dando origine al "petrarchismo" in letteratura, nell'ambito delle arti figurative promosse con convinzione l'opera di maestri come Raffaello, di cui fu amico personale e naturalmente anche di Michelangelo. L'esposizione si snoda in senso cronologico, seguendo gli spostamenti della vita di Bembo, prendendo le mosse dal tardo Quattrocento, con le opere veneziane di Bellini, Giorgione e Aldo Manuzio (con cui egli stampò la prima edizione delle Prose della Volgar Lingua nel 1525) proseguendo per Ferrara, teatro della passione vissuta con Lucrezia Borgia, e poi la corte di Mantova, dove conobbe le opere del Mantegna senza tralasciare quella di Urbino, dove vide i lavori del giovane Raffaello, di Perugino e Gian Cristoforo Romano. Centro dello splendore dell'attività anche di mecenate del Bembo fu poi la Roma dei Papi, dove dominano ancora Raffaello, Giulio Romano, Valerio Belli. 

Il viaggio si conclude nella città di papa Paolo III Farnese, con Bembo consacrato nelle sue vesti di cardinale nel ritratto di Tiziano. Una corsa nel tempo, uno sguardo sul Rinascimento dalle origini alla sua piena espansione attraverso le opere di Mantegna, Michelangelo, Hans Memling, Giorgione, Tiziano, Bellini, Giulio Romano, Perugino, Francesco Francia e Lorenzo Costa, provenienti dai più importanti musei europei e degli Stati Uniti. Innumerevoli le sculture (molto apprezzate da Bembo quelle di epoca romana) e un grande arazzo della Cappella Sistina, strumenti musicali e i tanti libri manoscritti oltre ai volumi a stampa: tutto quanto nel pieno del Rinascimento componeva il grande quadro della cultura, segno di potere, status symbol di un'epoca.

Notizie utili. A Padova, Palazzo del Monte di Pietà, piazza Duomo 14. Dal 2 febbraio al 19 maggio. Chiuso i lunedì non festivi. Biglietti: intero 8 euro; ridotto 6 euro; ragazzi dai 6 ai 18 anni, 3 euro.

FONTE: Francesca Giuliani (repubblica.it)

lunedì 4 febbraio 2013

Richter, un grande vecchio tra fotografia e pittura

Alla Fondazione Sandretto i multipli dalla collezione Olbricht


Non si poteva pretendere che a Torino arrivasse un’esposizione di Gerhard Richter come la straordinaria retrospettiva presentata a Londra Parigi e Berlino l’anno scorso per festeggiare i suoi ottant’anni, ma la mostra che si è inaugurata alla Fondazione Sandretto è di particolare interesse perché è tutta incentrata su un aspetto specifico della produzione dell’artista, quello delle sue edizioni serigrafiche, tipografiche, fotografiche (e anche di oggetti e arazzi) a tiratura multipla ma limitata, che nella sua ricerca fin dall’inizio hanno avuto una notevole importanza. Non è un caso che tutte le fasi e tutti i temi del suo lavoro pittorico, dal 1965 ad oggi siano stati elaborati anche attraverso delle edizioni seriali. Lui ha dichiarato, nel 1998, che le sue edizioni sono una forma di democratizzazione delle sua arte, rispetto ai pezzi unici, ma anche questi multipli hanno raggiunto quotazioni altissime.  

Da un lato Richter si interroga sulla natura dell’immaginario fotografico e sull’utilizzazione della fotografia come base su cui intervenire pittoricamente, e dall’altro lavora, con valenze autoreferenziali, sui caratteri fondamentali del processo pittorico in chiave astratta (apparentemente) gestuale, minimalista e illusoriamente figurativa. Nel suo insieme la ricerca di Richter, che attraversa tutte le convenzioni iconografiche, ibridando i procedimenti fotomeccanici con quelli artistici manuali, appare eclettica. In realtà rimane sempre centrale la domanda sull’essenza enigmatica dell’immagine nella nostra società, e quella sullo scarto sempre incolmabile fra realtà e rappresentazione. Tutti questi aspetti sono presenti, con la stessa affascinante complessità, anche nelle edizioni realizzate in più esemplari, con effetti del tutto peculiari. È il caso soprattutto delle foto-pitture, e cioè dei quadri (sia quelli in bianco-nero che quelli successivi a colori) che ridiventano nelle edizioni seriali delle stampe fotografiche, innescando uno straniante cortocircuito concettuale all’interno stesso della strategia operativa dell’artista. Ed è così possiamo vedere le immagini delle immagini di molti fra i dipinti più noti come quelli dei primi Anni 60 che raffigurano in modo realistico ma sfasato e sfocato (attraverso il passaggio di un pennello secco sulla superficie dipinta) ritratti, oggetti o anche paesaggi e aerei; oppure la suggestiva figura di Ema nuda che scende le scale (omaggio a Duchamp), o ancora il ritratto della figlia Betty di spalle che guarda un quadro grigio del padre sulla parete di fondo. Ma ci sono anche delle sperimentazioni innovative, come l’utilizzazione fuori registro della fredda e impersonale stampa offset, per esempio in un ritratto della Regina Elisabetta del 1966; e soprattutto le riproduzioni fotografiche di suoi quadri astratti informali o figurativi su cui l’artista è intervenuto con spatolate materiche, trasformando ogni stampa in un pezzo unico.  

Le due serie di lavori più originali, che non hanno un corrispettivo nella produzione dei pezzi unici, sono iNeun Objekte, del 1969, e i cento dischi in vinile (delle Variazioni Goldberg) con interventi di pittura secondo uno schema seriale ma sempre variato. Gli oggetti del 1969, sono delle immagini di oggetti in legno con forme geometriche assurde costruiti dall’artista che, attraverso un ritocco fotografico appaiono come illusioni ottiche tridimensionali reali, inserite in un ambiente della vita quotidiana. Nella mostra la sala più spettacolare è quella che accoglie quattro immensi arazzi recenti, realizzati a partire da immagini di dipinti astratti specchiati e riflessi in modo da formare una configurazione tipo macchia di Rorschach. Sono di sontuosa bellezza, ma forse troppo decorativi e estetizzanti, non propriamente in linea con il rigore di Richter. 

L’esposizione, curata da Hubertus Butin e Wolfgang Schoopmann, presenta centosessantacinque opere, tutte del collezionista tedesco Thomas Olbricht. È il corpus completo delle edizioni dell’artista. Manca solo l’edizione dei 48 Portraits (quella relativa alla serie di ritratti di tedeschi famosi presentata alla Biennale veneziana del 1972), tirata in sole quattro copie destinate ai musei.  

GERHARD RICHTER . Edizioni 1965-2012 dalla Collezione Olbricht  
torino, Fondazione Sandretto