domenica 30 giugno 2013

"Cose viste" ad arte nel museo Alinari


Una mostra raccoglie cento scatti della fotografa Maria Orioli, recentemente scomparsa. Il suo archivio è stato donato alle Raccolte Museali Fratelli Alinari

"Come restare insensibili davanti alle immagini di Maria Orioli? Immagini che ci riportano a un tempo fuori dal tempo, a tutto ciò che ci affascina in questa Venezia minacciata dalla massa dei turisti, dalla fatiscenza degli edifici, dai distributore di panini, dai venditori di paccottiglia cinese, e dalla pubblicità incombente…" Così vengono presentate sul sito della Fondazione Alinari da Philippe Arbaïzar,  del Dipartimento Fotografia della Biblioteca Nazionale di Francia, le fotografie di Maria Orioli, alle quali è dedicata una mostra presso il MNAF, il Museo Nazionale Alinari della Fotografia. 

L'esposizione allestita a seguito della recente donazione dell’archivio Orioli alle Raccolte Museali Fratelli Alinari, raggruppa più di cento sue fotografie in bianco e nero dedicate non solo a Venezia ma a diversi altri luoghi del mondo. Il titolo,  " Cose viste", prende spunto dalle “Choses vues” di Victor Hugo in quanto la mostra, così come il volume dello scrittore francese, raccoglie il frutto del lavoro di diversi tanti anni di attività. 

FONTE: arte.it

venerdì 28 giugno 2013

Libri da leggere: i casi della vita....

Distribuito nelle librerie italiane uno dei libri più scanzonati del momento


venerdì 21 giugno 2013

Arte contemporanea all'ombra del Vesuvio


In apertura , nel prossimo weekend, tre mostre al Museo MADRE di Napoli

A Napoli pieno fermento al Museo MADRE dove, durante il prossimo fine settimana, apriranno insieme tre mostre di arte contemporanea che inaugurano la direzione artistica di Andrea Villani.

"Tutto in uno", organizzata in collaborazione con WIELS-Contemporary Art Centre di Bruxelles, è la più ampia retrospettiva mai realizzatae la prima in un’istituzione pubblica italiana, dedicata a Thomas Bayrle (Berlino, 1937), uno dei pionieri e principali esponenti della Pop Art europea. Il suo linguaggio, unendo Pop Art, Arte Concettuale, Op Art, si configura come un condensato delle neo-avanguardie del secondo Novecento.

"Intermedium", parola latina che allude allo stare nel mezzo, "tra i limiti di spazio e di tempo che determinano un processo creativo non ancora concluso", è la mostra di Giulia Piscitelli (Napoli, 1965). L'esposizione riunisce opere prodotte dall'inizio degli anni '90 ad oggi, molte delle quali inedite: dipinti decolorati su stoffa, lavori fotografici, installazioni site specific e documenti video.

«La lezione di Boetti (alla ricerca dell’One Hotel, Kabul)» di Mario Garcia Torres, classe 1975, propone, infine, l’intero lavoro realizzato dall’artista durante gli otto anni di studio condotti sull’One Hotel di Kabul, in Afghanistan, edificio che Boetti scelse come luogo di residenza e produzione artistica nel periodo 1971-1977.

ARTE.it



giovedì 20 giugno 2013

Antiche stampe: l'arte incontra la letteratura


Presso la Casa delle Letterature di Roma, fino al prossimo 25 luglio, è allestita "Testi in Opera", la prima di una rassegna di esposizioni dedicata alle stamperie storiche romane e al loro rapporto con gli artisti.

Non solo scrittori ma anche artisti erano di casa tra le mura delle stamperie storiche. Roma ne ha di antichissime. Come la stamperia Bulla, inaugurata nel 1840, che è protagonista della prima di una rassegna di mostre che la Casa delle Letterature dedicherà a questo tipo di realtà.

La mostra, intitolata "Testi in Opera", si colloca nell'ambito del ciclo "Doppio Passo. Incontri di Arte e Letteratura" e della "XII edizione di Letterature – Festival Internazionale di Roma" e ripercorre le vicende della stamperia Bulla da quando, nel 1941, Roberto, padre degli attuali proprietari, iniziò a collaborare con importati artisti della scena romana. In esposizione fino al prossimo 25 luglio c'è una selezione di opere di grandi maestri dell’arte contemporanea e di prestigiosi nomi della letteratura, a coprire un periodo che va dalla fine degli anni Settanta ai primi anni Novanta. Tra le firme, quelle di Carla Accardi, Domenico Bianchi, Bruno Ceccobelli, Sandro Chia, Enzo Cucchi, Gianni Dessì, Jannis Kounellis, Nunzio, Roberto Pace, Mimmo Paladino, Piero Pizzi Cannella, Ruggero Savinio, Giulio Turcato in dialogo con Edoardo Albinati, Antonella Anedda, Giorgio Barberio Corsetti, Kakuan, Leonardo Sciascia, Ersi Sotiropoulos, Roberto Triana ed Emilio Villa.

Nicoletta Speltra   ARTE.it



martedì 18 giugno 2013

Penone folgorato dagli alberi


A Versailles l’artista italiano porta le sue installazioni in cui la natura diventa scultura

Dopo il trionfo pop e iperkitsch dei giocattoloni e dei banali oggetti monumentali di Koons, dei manga variopinti di Murakami, delle bizzarre statue e carrozze di Veilhan, e delle enormi surreali scarpe e parrucche di Maria Antonietta della Vasconcelos, che nelle precedenti mostre avevano invaso gli spazi interni e esterni della reggia, con discutibili effetti spettacolari, quest’anno a Versailles è finalmente arrivato uno scultore contemporaneo, Giuseppe Penone, capace di innescare un vero dialogo culturale e estetico con questo luogo senza rischiare di trasformarlo in un parco a tema. Penone è stato invitato perchè è sicuramente l’artista più adatto per entrare in sintonia dialettica con l’eccezionale architettura vegetale messa in scena da André Le Nôtre, di cui si festeggia il quattrocentesimo anniversario della nascita.


Il grande giardiniere di Luigi XIV aveva progettato il parco per esaltare il potere dell’uomo sulla natura, ma, come scrive lo scultore, questa realizzazione sottolinea al contrario la forza e il potere della natura che minimizza l’azione dell’uomo, obbligato a un lavoro perenne di manutenzione per preservarlo. Da parte sua Penone, invece di cercare di sottomettere gli elementi naturali alla formalizzazione artificiale, ha sempre lavorato enfatizzando le essenziali potenzialità espressive di questi. «Il mimetismo oggettivo delle mie opere annulla la mia azione di scultore e concentra l’attenzione sulla straordinaria intelligenza della crescita vegetale e sulla dimensione estetica perfetta presente nella natura». In altri termini si può dire che l’artista si limita, attraverso in suoi interventi, a far emergere e visualizzare la natura come scultura.

Nelle sale della reggia, con funzione introduttiva, ci sono solo tre opere tra cui un grosso tronco scavato per mostrare all’interno come era agli inizi della sua crescita. Tutte le altre diciannove sculture in bronzo e in marmo sono strategicamente installate nel parco in due parti distinte. Il primo gruppo di lavori è disposto sulla grandiosa prospettiva centrale che va dalla reggia fino al Bassin d’Apollon e al Grand Canal. Le due prime sculture in bronzo enfatizzano la simmetria e la fuga prospettica dello spazio. La prima è un tronco collocato in orizzontale e sezionato in vari pezzi bucati (e dorati) all’interno, che sembrano alludere a un cannocchiale.

E la seconda, Tra scorza e scorza, è formata dal calco di un grande albero aperto a metà con dentro una vera giovane quercia. Nel viale di ghiaia sotto il bacino di Latona (che è in fase di restauro) entrano in scena sei massicci blocchi di marmo di Carrara, scavati in superficie e all’interno per mettere plasticamente in evidenza le venature, che emergono come strane configurazioni anatomiche organiche. In mezzo ai blocchi troviamo un’installazione con una colonna (anch’essa scavata allo stesso modo) posata orizzontalmente su una superficie di marmo su cui sono visibili le tracce del suo rotolamento. Questi lavori si confrontano, con sorprendente vitalità, con la sequenza di statue classiche barocche su piedestalli che stanno tutt’intorno intorno, anch’esse in marmo (probabilmente di Carrara).

E discendendo si arriva infine al Tapis Vert, un ampio prato, a cui fanno da quinte le siepi geometriche con le entrate nei vari boschetti laterali. Qui Penone ha collocato tre monumentali alberi di bronzo. All’inizio si innalza un Albero folgorato, le cui spaccature in alto, dorate all’interno, sembrano lingue fiammeggianti grazie ai riflessi del sole. E poi troviamo Triplice, un albero con tre lunghi rami in tensione per il peso di grosse pietre; e Le foglie e le radici , una pianta rovesciata con le radici in alto che ospitano un vero alberello nascente. Sono sculture che creano un affascinante e anche inquietante effetto di spiazzamento rispetto al nitido ordine geometrico circostante.

Per controbilanciare la lunga sequenza piuttosto lineare di questo insieme di opere, che si disperde un po’ nella vastità del parco, Penone ha collocato l’altro principale gruppo di lavori nello spazio circoscritto del Bosquet de l’Etoile, giocando sull’intensità della concentrazione. Qui scopriamo un boschetto nel boschetto formato da sette piante sempre in bronzo, tra cui svetta letteralmente sospeso un tronco con le radici in aria, che sembrano sostenute in alto dai tronchi di alcuni veri alberi tutt’intorno. Chissà cosa penserebbe Le Nôtre se ritornasse a vedere ora il suo parco. Io credo che, dopo aver parlato con Penone, sarebbe più ammirato che sconcertato.

PENONE VERSAILLES
PARIGI, REGGIA DI VERSAILLES
FINO AL 2 OTTOBRE 2013

FONTE: Francesco Poli (lastampa.it)


martedì 11 giugno 2013

Memorie oscure sotto la lente di Gian Paolo Barbieri


Gian Paolo Barbieri è un affermato fotografo di moda, con primati di grande valore: magari a partire dalla copertina del primo numero di Vogue Italia, del novembre 1965. Allo stesso momento, ha realizzato anche una fantastica serie di progetti etnici, definiamoli così, raccolti in eccellenti monografie, tra le quali si elevano Silent Portraits (1984), Tahiti Tattoos (1989 e 1998), Madagascar (1997) e Equator (1999).

Nell'autunno 2007, la fotografia di Gian Paolo Barbieri è stata celebrata da una imponente retrospettiva, allestita nelle sontuose sale del Palazzo Reale, di Milano, che ne ha sancito la statura professionale e il ruolo nell'ambito della fotografia contemporanea.

Presentato in mostra da Sotheby's, a Milano, il racconto delle attuali Dark Memories investiga, indaga, scruta l'anima che appartiene a ciascuno di noi: volente o nolente. Nonostante l'apparenza fotograficamente elaborata, queste immagini sono di classica semplicità, sia le figure umane sia i fiori che si alternano sulle pareti dell'elegante spazio espositivo di Sotheby's. Il fondo neutro è allegorico nei suoi sottintesi, ma secondario rispetto i soggetti che dominano la scena, percepiti così tanto intimamente da infondere un senso di imbarazzo. Allo stesso tempo e momento, è difficile ridurre lo stile, il garbo, il gusto di Gian Paolo Barbieri a una pura descrizione, oppure affermarne una qualsivoglia appartenenza espressiva (non soltanto della fotografia). I soggetti sono visualizzati con tagli e lame di luce in attimi sospesi e silenti. Hanno un'asprezza che regge il confronto con tutta la storia dell'arte (e dell'Uomo). La loro manifesta bellezza -quanto poco è usato questo sostantivo dalla critica corrente!- appartiene a intensi capitoli espressivi del passato, come del presente.

Gian Paolo Barbieri: Dark Memories. Sotheby's, Palazzo Broggi, via Broggi 19, 20129 Milano (www.sothebys.com). Fino al 20 giugno; lunedì-venerdì, 10,00-13,00 - 14,00-18,00.

Barbieri Dark Memories 000 Copertina

Dark Memories, fotografie di Gian Paolo Barbieri; Skira Editore, 2013; 112 pagine 30,5x38cm, stampa a tre neri su carta GardaPat da 135g, rilegatura bodoniana; 60,00 euro.

FONTE: Maurizio Rebuzzini (ilsole24ore.it)


lunedì 10 giugno 2013

Basquiat conquista Parigi con Monna Lisa e Olympia


Il dipinto ''Crown Hotel (Mona Lisa Black Background)", ha regalato numeri da record all'asta di arte contemporanea della sede francese di Sotheby's

Da Sotheby's Parigi la vendita di arte contemporanea che si è tenuta ieri ha raggiunto 21.623.600 euro (a fronte di una stima di 15 milioni), un risultato molto vicino al record della sede francese della casa d'aste. Merito soprattutto del pittore statunitense Jean-Michel Basquiat e della sua ''Crown Hotel (Mona Lisa Black Background)'' opera di grandi dimensioni proveniente dalla collezione della contessa Viviane de Witt. La tela, su cui appaiono, su un fondo nero, due icone dell'arte occidentale, Monna Lisa e Olimpya, è stata venduta per 5.697.500 euro.

Basquiat ha registrato così il suo record in una vendita in Francia, alla stessa maniera di altri artisti presenti nella stessa asta: Willem de Kooning, Jean-Michel Othoniel e Zao Wou-Ki.

FONTE: Nicoletta Speltra (lastampa.it)







giovedì 6 giugno 2013

Sterling Ruby raddoppia a Roma: l’artista americano celebrato alla Fondazione Memmo e al Macro


Dalle sculture morbide in gommapiuma ai video, dalle sculture in ceramica ai collage: l'arte a tutto tondo del fuoriclasse di Los Angeles

Sterling Ruby: un nome che suona come uno pseudonimo, o di un personaggio d’invenzione ma che appartiene ad un trentasettenne artista, di base a Los Angeles, diventato un fenomeno della scena artistica d’oltreoceano, con diverse mostre al suo attivo in una carriera iniziata circa dieci anni fa come assistente del celebre Mike Kelley. Poliedrico e multidisciplinare, Ruby è presente a Roma con due mostre personali, che riflettono percorsi diversi, ma complementari, del suo universo artistico.


Al MACRO di Testaccio, l’artista ha inaugurato una gigante “scultura morbida” in gommapiuma - “Soft Work” - opera unica, di dimensioni ambientali, che “cresce” ad ogni nuova tappa del suo percorso itinerante attraverso l’Europa e che a Roma ha invaso tutto lo spazio dell’ex-Mattatoio (piazza O. Giustiniani 4, a cura di Maria Alicata, fino al 15 settembre 2013. Orario: da martedì a domenica, ore 16.00-22.00. Biglietto: intero 6 €; ridotto 4 €; www.museomacro.org).

I violenti colori delle stoffe che ricoprono le morbide forme di “Soft Work” – molte delle quali sono bandiere degli Stati Uniti - sembrano alludere all’apparente allegria e alla calda accoglienza dell’ambiente familiare. In realtà, i titoli di alcuni di questi lavori, come “Vampire” – enormi bocche con lunghi denti – e “Husbands” – forme simili a divani dove apatici e distratti mariti si sdraiano per guardare la TV – svelano con cinismo e ironia la contraddizione insita nel consumismo e nella sottocultura massmediatica occidentale. In aperta contrapposizione al linguaggio freddo e contenuto del minimalismo, l’artista spazia attraverso i linguaggi più diversi – dal video all’installazione, dalle sculture in ceramica al collage – e rappresenta situazioni marginali, spesso considerate “patologiche” – come criminalità e transessualità - e le forme di repressione delle stesse, fino alla carcerazione.

Le grandi fauci con i denti aguzzi ritornano anche nella serie DRFTRS (2013), inclusa tra le oltre settanta opere selezionate dall’artista stesso e provenienti dalla sua collezione personale, esposte alla Fondazione Memmo – Arte Contemporanea di Palazzo Ruspoli (via del Corso 418, a cura di Cloé Perrone, fino al 15 settembre. Orari di apertura: da martedì a domenica, dalle 12 alle 20, lunedì chiuso. Ingresso: libero). Questa mostra, intitolata “CHRON II”, presenta esclusivamente collage su carta e cartone, che dimostrano l’importanza che Ruby attribuisce al disegno e al collage, non solo come tecnica ma anche come “gesto artistico” e come “fusione illecita”, sottolineandone l’aspetto trasgressivo. Proseguendo una ricerca iniziata nel 2008 con “CHRON” al Drawing Center di New York, l’artista qui presenta opere molto diverse, realizzate nell’arco degli ultimi dieci anni, utilizzando sia la pittura a spray, che i collage con fotografie ritagliate, fino a sperimentare l’uso dello smalto per le unghie come colore. Nel percorso di questa mostra, lo spettatore viene immerso direttamente nelle ossessioni formali e tematiche dell’artista: l'hip-hop, l’horror, le gang metropolitane, i graffiti, il punk, la globalizzazione, i sistemi carcerari, l’artigianato e l’esistenzialismo. Un’estetica destabilizzante e non convenzionale che scopre in nervi aperti della società contemporanea.

FONTE: Valentina Bruschi (ilmessaggero.it) 







mercoledì 5 giugno 2013

La Biennale di Gioni: l'arte è nella comunità


Il via alla 55ma edizione della rassegna dell'arte veneziana, siglata da Massimiliano Gioni, che è il direttore più giovane della kermesse. E si vede: dei 158 artisti presenti, 120 sono all'esordio assoluto. Tutto ruota intorno all'Enciclopedico Palazzo, quella Babele della cultura pensata nel 1950 da Marino Auriti e mai nato

Anni fa al Pac di Milano, Massimiliano Gioni, all'epoca sembrava un ragazzino, del resto ora, trentanovenne, è il direttore più giovane della storia della Biennale di Venezia, tenne un incontro che aprì con questa citazione: "Il bello non è nella forma, ma nella comunità". Frase che mi colpì, e che ha continuato a tornarmi in mente percorrendo le sale della ordinata mostra con cui firma la 55° edizione del più importante appuntamento mondiale con l'arte contemporanea. Finalmente ai Giardini e all'Arsenale, si respira l'esigenza di una conoscenza multiforme, che esplora con profonda concentrazione percorsi diversi, ma tutti significativi. Non ci sono autori che fatichi a collocare e ci sono esperienze che se pur inizialmente respingenti, riesci ad avvicinare perché "L'arte per essere critica, deve prima essere dolce", diceva Charles Baudelaire.

Emerge un lavoro fatto con grande discrezione, non urlato ma raccolto in un buon arco di tempo con toni decisi, che guarda al percorso e alla forza del messaggio artistico. Da sempre Gioni si distingue per proposte valide, che valutano il lavoro di un autore nel suo insieme, non è un "giovanilista", non è ossessionato dalla novità, sa percepire e far scoprire sottili pieghe in cui si nascondo dedizione e ricerca. Nell'esposizione, che ha chiamato "Il Palazzo Enciclopedico", ha incluso in totale 158 artisti, di cui 120 non erano mai stati invitati alla Biennale, 40 addirittura non più viventi. Molti sono gli "outsider", intesi come "non professionisti", ma in grado di produrre opere d'arte, che si immettono nel flusso progressivo. Quindi si respira un dialogo tra presente e passato, che affascina come un gioco che spinge alla ricerca delle affinità, che concatena memoria, attualità e proiezioni futuribili, e che a tratti conforta e a tratti spiazza, rompendo inutili certezze. "Questa mostra - ha spiegato Gioni - è un tributo ai surrealisti e alla comunità transnazionale di artisti per questo non identifico un artista dalla sua nazionalità non chiedo mai la carta di identita di un artista".


Al centro di tutto, il plastico dell'opera mai realizzata di Marino Auriti, il meccanico italoamericano che attorno al 1950 immaginò quell'Enciclopedico Palazzo, che sarebbe dovuto essere un museo da costruire nel mezzo di Washington, capace di raccogliere tutto il sapere del mondo. Il modello dell'Enciclopedico Palazzo del Mondo, dal quale la Biennale prende il titolo, arriva dall'American Folk Art Museum di New York, e apre le Corderie dell'Arsenale. Lo spazio delle Corderie è stato, tra l'altro, sistemato da Annabelle Selldorf , architetto che negli ultimi anni ha progettato tutti gli spazi dell'arte di Manhattan, comprese le gallerie di Chelsea. Qui si cammina tra le sculture fragili dai visi reali, di Pawel Althamer e alla fine si incontra il lavoro di Walter De Maria, artista americano maestro della Land Art qui in chiave indoor.

Il padiglione centrale ai Giardini, pone invece al centro il libro rosso, dello psicanalista Carl Gustav Jung, che diceva ''Non dobbiamo pretendere di conoscere il mondo solo con l'intelligenza, sarebbe necessario invece insegnare all'uomo l'arte di vedere''. Poi tanti big, da Cindy Sherman e Tino Sehgal; Jimmie Durham, Paul McCarthy e Steve McQueen. Non mancano, gli italiani: momento d'oro per Rossella Biscotti, reduce dall'ultima edizione di documenta, ha rinunciato all'amico Cattelan, ma ha dato spazio a Yuri Ancarani; Diego Perrone e Gianfranco Baruchello, ma anche Marisa Merz e Marco Paolini.

Ma a Gioni è spettato anche un altro lavoro, quello di riuscire a raccogliere praticamente la stessa quantità di denaro di quello messo a disposizione dalla Biennale. Il budget era di circa 1,8 milione di euro, miserrimo per non dire non sufficiente e Gioni l'ha raddoppiato coinvolgendo fondazioni e privati. Si è dato da fare senza lamentele, in America è la prassi da noi un'anomalia. "Documenta", per capirci, in Germania ha un budget di circa 15 milioni. Quindi, con grande rigore, Gioni ha agito come un architetto funzionalista, progettando e costruendo un organismo solido, in cui l'equilibrio d'insieme è dato dalla forza dei singoli, dove ogni individualità alimenta il senso di comunità e potenzia il "circolo completo delle umane cognizioni", mappando quelle che già si conoscono, ed eventualmente aggiungendo quelle che si possono scoprire anche dopo questa biennale.

Insomma, come ha sintetizzato lo stesso presidente della Biennale, Paolo Baratta, la Biennale è "una vecchia signora che dev'essere rigenerata". E in questo, il lavoro di Gioni tra l'Arsenale e i Giardini dove si dipana l'esposizione, è stato fondamentale in una sorta di viaggio tra immagine e ciò che essa è in grado di evocare. Anche perché, in tempi di pesante crisi economica "la Biennale è un antidepressivo, un'iniezione di energia e di fiducia in un momento di crisi in cui l'economia non riesce a trovare soluzioni", ha detto il presidente.

Tra le novità-curiosità di quest'anno per la prima volte la Santa Sede partecipa alla Biennale, riprendendo la tradizione del mecenatismo che contraddistinse i papi del Rinascimento e dei secoli successivi. Costato 750mila euro, di cui 300mila stanziati dalla Biennale è suddiviso in tre sezioni, accomunate dal filo conduttore del racconto biblico della Genesi. La prima parte, dedicata ala Creazione, è stata affidata al gruppo milanese Studio Azzurro; la seconda, De-Creazione, al fotografo ceco Josef Koudelka, che nel 1968 fotografò l'invasione di Praga da parte dei carri armati sovietici; infine, la sezione su Nuova Umanità o Ri-Creazione, è opera del pittore americano Lawrence Carrell, legato al movimento dell'"Arte Povera", che usa per la sua arte anche materiali di recupero.

La Biennale d'arte di Venezia rimarrà aperta fino al 24 novembre.

FONTE: Valentina Tosoni (repubblica.it)