domenica 28 aprile 2013

Manet e Tiziano, modernità a confronto



"Ritorno a Venezia" è il titolo della mostra che la Fondazione Musei Civici di Venezia ospita dal 24 aprile al 18 agosto 2013 nelle monumentali sale di Palazzo Ducale: un'ottantina tra dipinti, disegni e incisioni. Un approfondimento critico sui modelli culturali che ispirarono il francese negli anni del suo precoce avvio alla pittura


Eccole una vicina all'altra entrambe sdraiate e rilassate, ma con lo sguardo vigile, attento nel fissarti dritto negli occhi, senza indugio. Basta solo questa visione a decretare l'eccezionalità della mostra che ha ''invitato'' a Palazzo Ducale di Venezia ''l'Olympia '' di Manet, che per la prima volta lascia la Francia e la ''Venere di Urbino'' del Tiziano (prestito eccezionale dalla Galleria degli Uffizi), due cortigiane, donne emancipate e fuori dagli schemi.  Entrambe arrivate per presenziare nell'esposizione ''Manet, ritorno a Venezia'', che si candida a essere una delle principali attrattive della Serenissima, proprio ora che si appresta a essere invasa anche dall'arte contemporanea; tra meno di un mese la prossima Biennale conquisterà i Giardini, l'Arsenale e non solo. 

Come si sa, tornando ai capolavori di prima, la più antica fanciulla ispirò la più recente, non per questo, però riuscì a evitarle tutta una serie di scandali che segnarono il suo destino. ''L'Olympia'', dipinta da Manet nel 1863, fu rifiutata al Salon del '65, da allora quello spirito di sconvenienza e di difficile accettazione l'accompagnò sempre, come quel malizioso nastrino che le cinge il collo, d'un nero ''ineludibile e poco impressionistico'', come scrive nel testo in catalogo Skira, Roberto Calasso. Manet venne in Italia a studiare l'arte antica e in particolare apprezzò la pittura di Tiziano, la descrizione delle forme così vivide e naturali, sempre accompagnate da un peso psicologico intrinseco, valori che trovò manifesti e perfettamente interpretati nella splendida Venere, che lo colpì a tal punto da volerne reiterare l'intensità, trasportandola nella sua contemporaneità. C'è chi sostiene che in realtà Manet si formò principalmente in Spagna, dove pure si recò da giovane, e si abbeverò davanti a Goya, El Greco e Velasquez. Sicuramente quell'educazione pose le sue fondamenta e lo strutturò, ma la mostra veneziana con le sue 80 tele straordinarie, fa capire quanto quell'imprinting dovette poi fondersi con altri influssi. 

Manet per ben tre volte soggiornò a Venezia, assimilò Giorgione, Veronese e Guardi, come da Firenze portò con sé il tratto dolce dei ''manieristi'' e fu ingordo del nostro Rinascimento. La prima volta che vide la laguna fu nel settembre del 1853, poco più che ventenne, e nello stesso anno vi ritornò per un secondo viaggio. L'ultimo fu invece nel 1874, stesso anno della famosa mostra dell'Impressionismo a Parigi. Esposizione a cui non partecipò, si lasciò invece cullare dalla fantastica luce italiana e realizzò varie vedute del Canal Grande. 

La mostra, sapientemente congeniata da Stéphane Guéguan e voluta da Gabriella Belli, direttrice della Fondazione Musei Civici di Venezia, riserva grandi emozioni: sono molti i capolavori prestati dal Museo D'Orsay, dal ''Balcon'' realizzato tra il 1868 e il 1869, opera importante che accenna e anticipa quella modernità che poi sarebbe esplosa senza mezzi termini, il celeberrimo pifferaio ''Le fifre'' del 1866 e ancora una copia dell'epocale ''Déujeuner sur l'herbe'' del 1863, che nonostante l'impianto compositivo classico, fece gridare allo scandalo per l'utilizzo di abiti moderni e per le proporzioni della donna nuda in primo piano; ci pensò la storia a tramutare il dipinto dai morbidi contrasti cromatici, in uno dei più significativi capolavori del XIX secolo.

L'impianto critico della mostra è volto a sostenere che non solo la pittura spagnola influenzò l'arte di Manet, ma in buona parte fu proprio l'arte italiana a plasmare l'impianto linguistico del grande artista francese. Oltre a ciò, però è stato realizzato: ''Un grande sogno, che ha comportato un anno e mezzo di lavoro'', ha dichiarato Gabriella Belli in conferenza stampa, e ha poi aggiunto ''Si è concretizzato un desiderio che tutti i direttori di museo, storici dell'arte come me, hanno: riunire nella stessa sala due capolavori, l'uno nato di conseguenza all'altro, siamo riusciti a mettere finalmente a confronto 'Olympià e la 'Venere di Urbino''. Due immensi dipinti che nonostante i 300 anni di distanza, dialogano con estrema modernità.

FONTE: Valentina Tosoni (repubblica.it)

martedì 23 aprile 2013

La Vergine rinasce a L'Aquila


Due dipinti seicenteschi firmati da Giacinto Brandi, terminato il restauro, vengono restituiti alla cittadinanza a quattro anni esatti dal sisma che ne provocò il danneggiamento

Quattro anni dopo il sisma, la città di L'Aquila riavrà due dei capolavori che erano custoditi nel Museo Nazionale d'Abruzzo: “La Nascita della Vergine” e “Il transito della Vergine” di Giacinto Brandi (1621-1691), appena usciti da un restauro che ha cancellato le tracce dei danni subiti nel 2009. Nell'attesa che sia pronta la nuova sede del Museo Nazionale, alla fine del 2014, le due opere saranno temporaneamente esposte presso la Chiesa di San Giuseppe Artigiano, primo edificio sacro del centro storico ad essere integralmente recuperato e restituito al culto.

La cerimonia di consegna sarà dedicata alla memoria di Gianfranco Imperatori, Segretario Generale dell’Associazione Civita, che ha curato il restauro realizzato con la direzione scientifica della Soprintendenza per i beni storici artistici ed etnoantropologici dell’Abruzzo. Imperatori, che di Civita, nell'87 fu anche il fondatore, oltre che un insigne economista, fu molto attivo anche nel campo della cultura, a partire dall'esperienza del recupero del celebre borgo laziale di Civita di Bagnoregio.

FONTE: Nicoletta Speltra (lastampa.it)



martedì 16 aprile 2013

E io la mostra la vedo al cinema


Arriva anche in Italia la stagione delle grandi esposizioni d'arte sul grande schermo, con "Ritratti di Vita" di Manet, dalla Royal Academy di Londra in contemporanea in trenta Paesi nel mondo

"Stasera non posso, devo andare al cinema per una mostra". Da giovedi 11 sentiremo dire davvero questa frase e con i pop corn alla mano si potrà gustare un'esposizione che già di per sé vale il costo del biglietto (10 euro). Alle 20 in punto, sedendosi nelle poltroncine con il naso all'insù, si potrà fare un giro alla retrospettiva personale che la Royal Academy di Londra ha dedicato a Manet, Portraying Life (in corso dallo scorso gennaio fino alla prossima settimana) quella che il Times ha definito "una rara opportunità per vedere alcuni dei più raffinati lavori dell'artista".


La proiezione arriva dopo il grande successo della prima esperienza di "Leonardo Live", che ha portato la mostra sold out della National Gallery di Londra in più di mille sale cinematografiche di tutto il mondo. Per questo torna "Exhibition: la grande arte al cinema" (trailer qui ): l'elenco completo delle 100 sale (7 a Milano, 5 a Roma, e così via) dove si potrà vedere il film, pardon, la mostra si trova nel sito di Nexo Digital, distrutore di Exhibition, in eslusiva in Italia.

Una volta seduti, sulle note di Chopin e di Schumann, lo storico dell'arte Tim Marlow e i curatori della mostra, MaryAnne Stevens (Director of Academic Affairs della Royal Academy of Arts) e Larry Nichols (curatore del Toledo Museum of Art, Ohio) condurranno una visita guidata dell'esposizione che raccoglie i ritratti che Manet ha dipinto a più di cinquanta volti, tra cui quelli di Suzanne Leenhoff, moglie del pittore, e di molti illustri coetani dell'artista. Il viaggio che il film fa compiere non è soltanto tra le tele e i capolavori di Manet ma anche nel cuore della sua vita e del suo tempo, vivendo le esposizioni ufficiali al Salon dei Refusés, i boulevard parigini di Haussmann, fino alla rivoluzione avvenuta con l'avvento della fotografia, della poesia di Baudelaire e di Mallarmé, dei libri di Zola, dell'amicizia con Antonin Proust a con Monet...

Come spiega Charles Saumarez Smith, segretario e direttore generale della Royal Academy of Arts, la mostra è la prima retrospettiva dedicata a Manet (1832-1883) che ne illustra l'intera carriera, con opere provenienti dall'Europa, dall'Asia e dagli Usa. Novanta minuti sul grande schermo per un pubblico internazionale, una platea più ampia rispetto al passato grazie alla tecnologia del cinema digitale che, in questo caso, non si limita infatti a proporre su grande schermo soltanto i dipinti esposti ma svela cosa si nasconde creativamente e tecnicamente dietro una mostra e un quadro.

Gli spettatori italiani prenderanno posto al cinema in contemporanea con gli spettatori di Inghilterra, Argentina, Australia, Canada, Cile, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Francia, Guatemala, Ungheria, India, Malta, Olanda, Nuova Zelanda, Norvegia, Polonia, Russia, Svezia, Svizzera, dando la possibilità di vedere la mostra sia a chi è vicino che lontano. Come suggerisce il produttore Phil Grabsky, la visione del film è consgiliata "a tutti coloro che non possono raggiungere la Royal Academy ma anche a tutti i visitatori della mostra, perché l'evento al cinema sarà un esperienza che permetterà di entrare ancora di più nel cuore delle opere di Manet".

Le date dei prossimi appuntamenti di Exhibition sono con "Munch 150", dal Museo Nazionale e dal Museo Munch di Oslo, al cinema giovedì 27 giugno alle ore 20.00 e "Vermeer e la musica: l'arte dell'amore e del piacere" dalla National Gallery di Londra il prossimo giovedì 10 ottobre, sempre primo spettacolo delle ore 20.
 
FONTE: Valentina Bernabei (repubblica.it)

lunedì 8 aprile 2013

Arte, durante la Design Week la mostra internazionale 'Interno e Memoria'


Dalla collaborazione tra il Salone del Mobile e la Biennale d'Arte di Venezia, la mostra internazionale indagherà sul rapporto tra lo spazio fisico e la memoria delle tracce che si perdono nel tempo.


Due tra i maggiori avvenimenti per la creatività e le arti del 2013, Il Salone del Mobile di Milano e la Biennale Internazionale d'Arte di Venezia, hanno come filo conduttore quello di ripensare il mondo in cui viviamo e ridefinire il rapporto che abbiamo con esso.

Se da un lato la nostra presenza nel mondo è sempre più instancabilmente affiancata da un dispositivo elettronico che ne scandisce i passaggi, e il nostro sapere sempre più affidato alla velocità della rete, dall'altro il desiderio di mantenere vivo un rapporto con la parte più “umana” del nostro vissuto, non del tutto assuefatto alla tecnologia, porta al recupero di una dimensione più intima e nascosta.

È qui che si inserisce la mostra Interno e Memoria Memories and Traces, dal 10 aprile alla Edward Cutler Gallery di Milano.

Intorno alle due parole del titolo ruotano le esperienze rappresentate: interno inteso sia come spazio fisico sia come interiorità e memoria nel senso di tracce che si perdono nelle trame delle immagini.

Come sottolinea la curatrice Valentina Casacchia, “in mostra sono presenti diverse espressioni artistiche con una significativa attenzione alla pittura, che trasforma di continuo il suo statuto; quindi Interno e Memoria è anche un riferimento strutturale al mezzo, nel senso di una nuova e ritrovata pittura che traduce in immagini espressioni contemporanee”. Tutte le opere sono inedite, per una visione davvero nuova: 12 artisti, provenienti da città, sperienze e linguaggi diversi, sono chiamati a contribuire con le loro opere a questa riflessione.

FONTE: Riccardo Fano (cultura.panorama.it)

giovedì 4 aprile 2013

Porte aperte al design, dal cucchiaio alla città



La Fondazione Franco Albini apre alle visite guidate lo studio e l'archivio dell'architetto che fu tra i padri del Razionalismo Italiano

I progetti di Franco Albini, uno dei più importanti esponenti del Razionalismo italiano, sono tra quelli che si vedono nei manuali di storia dell’architettura. Abilissimo disegnatore, era capace di occuparsi di diverse scale di intervento, "dal cucchiaio alla città".

Insegnò all’Università di Venezia, chiamato da Giuseppe Samonà, al Politecnico di Torino e a quello di Milano. Fu insignito di premi e riconoscimenti prestigiosi tra i quali tre Compasso d'Oro (1955, 1958 e 1964), il Premio Olivetti per l'Architettura (1957) e il premio "Royal Designer for Industry" dalla Royal Society di Londra (1971).

Tra le opere realizzate da lui, negli anni Trenta, il Palazzo della civiltà Italiana all'Eur insieme a Palanti, Gardella e Romano; nei primi anni Cinquanta, la sistemazione delle Gallerie comunali di Palazzo Bianco a Genova e, a seguire, quella del Museo di Palazzo Rosso, nella stessa città (per la quale fu consulente anche per il Piano Regolatore Generale),Villa Olivetti a Ivrea, la sede della La Rinascente a Roma e le stazioni della linea 1 della Metropolitana di Milano.

Ora, su iniziativa della Fondazione Franco Albini, a Milanoil suo studio di architettura, trasformato in museo, apre alle visite guidate. Con il progetto “Porte aperte al design”, infatti, chi si prenoterà potrà avere accesso all’archivio privato dell’architetto, conoscere pezzi inediti di design unici o seriali, disegni e foto d’epoca, riproduzioni 3D e tutto il materiale accuratamente raccolto nel tempo dal figlio Marco e dalla nipote Albina per restituire l’idea del metodo poetico e funzionale, rigoroso e leggero, moderno e artigianale allo stesso tempo che Franco Albini applicava ai suoi progetti.

FONTE: Nicoletta Speltra (lastampa.it)





mercoledì 3 aprile 2013

Mosca, un nuovo museo. Firma Fuksas


L'architetto romano vince il progetto per il Museo Politecnico che sorgerà entro il 2017. Un'opera audace che "spezza" lo stile del classicismo socialista nella Collina dei Passeri, a 10 chilometri dalla Piazza Rossa. Era dai tempi della grande stagione di Caterina la Grande a San Pietroburgo che un italiano non edificava in Russia

Un nuovo museo a Mosca. E con la firma del design italiano. Quello di Massimiliano e Doriana Fuksas, che hanno vinto il prestigioso concorso internazionale per la progettazione del "Moscow Polytechnic Museum and Educational Centre" di Mosca che dovrebbe sorgere entro il 2017. A distanza di tre secoli, dopo la stagione storica degli architetti italiani, quella in particolare di San Pietroburgo e di Bartolomeo Rastrelli, un architetto italiano torna a realizzare un'importante opera pubblica in Russia e nella capitale in particolare.

"È uno dei miei progetti più belli ed è una vittoria italiana, il museo e il centro educativo devono diventare una pietra miliare luminosa e rispecchiare l'immagine della nuova generazione - dice l'architetto romano Massimiliano Fuksas. Il " Moscow Polytechnic Museum and Educational Centre" di Mosca (circa 40.000 mq) sorgerà nell'area delle Colline dei Passeri, a 10 km circa dalla Piazza Rossa, per un costo di 180 milioni di dollari. Adiacenti al sito, una serie di edifici realizzati in puro "classicismo socialista", edifici monumentali tra i quali spicca quello che ospita la biblioteca dell'Università Statale di Mosca.

Il progetto è composto da quattro elementi. Una scultura dalla geometria irregolare, come tagliata dal vento, interamente rivestita in rame preossidato, che rimanda screziature tra il verde e l'azzurro. Gli elementi, collegati tra loro attraverso i livelli interni, si sviluppano trasversalmente e poggiano su una teca trasparente aperta verso la città. L'idea motrice dell'autore è quella del dialogo e allo stesso tempo del contrasto tra passato e presente, tra una monumentalità se vogliamo più statica e una "in movimento".

La teca trasparente si compone di due livelli. Il piano terra, dove si sviluppa l'area aperta al pubblico, comprende la hall che può accogliere diverse installazioni artistiche, un caffè, uno shop, due auditorium di diversa capienza (tra i 500 e gli 800 posti) disegnati come parallalepipedi in legno rosso e tre giardini d'inverno con copertura apribile. Al livello superiore, il mezzanino, trovano posto gli uffici.

La copertura in pietra della teca, sulla quale poggia la parte sculturale del progetto, è concepita come una "piazza sospesa" per il pubblico. Gli elementi scultorei rivestiti in rame preossidato si sviluppano su tre livelli principali, ad ognunoo corrisponde una funzione. Al primo livello si sviluppa l'area dedicata alla comunicazione, con diverse sale conferenze/auditorium e lo Science and Technology Media Center con i servizi di supporto. Il secondo livello consta nell'area espositiva: sale, science/art gallery, la collezione del Museo, area Maths (matematica), cinema/auditorium.

Il terzo livello ospita laboratori, la biblioteca, il laboratorio didattico, l'area espositiva dello Science and Technology Museum Center. La luce naturale penetra nel Museo attraverso tre tagli principali, due disposti in verticale, uno sulla facciata principale e un altro sul lato posteriore che affaccia sul parco adiacente, mentre in copertura un grande lucernario domina tutti i livelli del Museo.

Come detto, era dai tempi della grande stagione di San Pietroburgo, dal Settecento, che nessun architetto italiano costruiva in Russia. E se a Mosca lo stesso Cremlino è stato in buona parte modellato da nostri antenati, ma solo fino al Cinquecento, la città più segnata dall'italian design è la capitale voluta da Pietro il Grande, e poi forgiata da Caterina. Prima Domenico Trezzini (Ticinese), cui si devono la fortezza e la chiesa dei Santi Pietro e Paolo, nell'isola che costituisce il nucleo originario del progetto, poi soprattutto Francesco Bartolomeo Rastrelli, architetto di corte di Caterina. Sono opera sua l'Ermitage, la cattedrale Smolny, le due residenze estive di Peterhof e - capolavoro assoluto - lo Tsarskoe Selo (o Palazzo di Caterina) a Puskin: il cosiddetto Barocco russo, in realtà made in Italy. Poi ci furono ancora Rinaldi, Quarenghi e, nell'Ottocento, il napoletano Carlo Rossi, che però visse nella capitale degli zar sin da tenerissima età, tanto da essere considerato russo. E, curiosità che quasi evoca il concetto di corso e ricorso storico, Rastrelli, italiano nato a Parigi da padre scultore, visse la sua (dorata) gavetta fatta di piccoli capolavori come il palazzo Rundale e lo Jelgava, in Lituania. Il paese di origine di Massimiliano Fuksas.

FONTE: repubblica.it





martedì 2 aprile 2013

Mostre: Tiziano alle Scuderie del Quirinale, l'artista del colore e della passione




"Risplende più di qualsiasi altro quadro veduto sino ad oggi...". Così Goethe nel 1786, alla vista del dipinto della Madonna di san Niccolò dei Frari, rendeva omaggio al suo autore Tiziano Vecellio, maestro indiscusso del Cinquecento europeo. Fino al 16 giugno le Scuderie del Quirinale espongono una retrospettiva che abbraccia l'intero arco di attività dell'artista veneto, come ha spiegato ieri il curatore Giovanni C. F. Villa durante una visita guidata per la stampa organizzata dal main sponsor Lottomatica. Si tratta di una selezione di quaranta opere che includono le più famose (come la "Danae" di Capodimonte, l'"Uomo con il guanto" del Louvre e la "Bella" di Palazzo Pitti) ma anche opere difficilmente visionabili come il Crocifisso dell'Escorial di Madrid, custodito abitualmente nella residenza reale spagnola e esposto al pubblico solo una volta all'anno.

Nei due piani della mostra si osservano le opere degli esordi di Tiziano, quando era apprendista nelle botteghe di Giovanni Bellini e Giorgione, fino ai lavori come artista a tutto tondo per i grandi committenti, tra cui gli imperatori Carlo V e il figlio Filippo II: un percorso che renderà l'artista un pittore religioso straordinariamente apprezzato nonché il ritrattista più celebrato e ricercato del tempo. L'espressività e la passione impressa alle figure e il senso vivo del colore, fatto di velature morbidissime e più tardi di ombre e contrasti netti, ne fanno un artista in grado di superare ad ogni opera se stesso e i limiti della pittura del proprio tempo. Lo dimostra in modo emblematico il dipinto che conclude la mostra, "La punizione di Marsia", dove le macchie di colore stese anche con le dita spalancano le porte alla rivoluzione cromatica dell'impressionismo.

FONTE: Micol Pieretti (ilmessaggero.it)