domenica 27 ottobre 2013

Da Marilyn a Pelé, a Milano i capolavori di Andy Warhol


Disegni, collage, immagini e dipinti: 160 opere dalla collezione di Brant

Visitare una mostra in anteprima, quando curatori, trasportatori, tecnici e operai specializzati stanno lavorando freneticamente per finire l’allestimento, è un’esperienza piuttosto interessante, perché ti può far comprendere meglio, nelle sue specifiche articolazioni spaziali, la strategia complessiva della narrazione espositiva, e perché può riservarti anche qualche affascinante sorpresa. Ed è quello che mi è successo quando arrivando in una sala vedo intorno a una cassa un gran numero di fotografi e videoperatori. «E’ arrivata Marilyn», mi dicono eccitati. Ed ecco che con infinita attenzione viene estratta dalla cassa un tela che viene appesa al muro accanto a Thirty is better than one , un magnifico lavoro foto-serigrafico con trenta Gioconde del 1963. La Marilyn in questione, Blue Shot Marilyn del 1964, è in effetti un opera assolutamente eccezionale anche all’interno della serie dedicata all’attrice. In mezzo alla fronte c’è una piccola macchia bianca: è il segno (tamponato) di un colpo di pistola sparato da una certa Dorothy Podber, che all’epoca aveva chiesto se poteva «colpire» quel quadro e l’artista credendo si trattasse di una foto («shoot» in inglese vuol dire sia fotografare che sparare) le aveva dato il permesso. Il bello è che la traccia di quel colpo è rimasta lì perché quando il collezionista chiese a Warhol se doveva restaurare il danno la risposta (ironicamente duchampiana) fu: «No, mi piace così, come se avesse una macchia o un brufolo». Ed è quasi fatale che questa Marilyn diventerà la Superstar dell’esposizione di Warhol al Palazzo Reale, che presenta ben 160 opere tutte di Peter Brant, uno dei più importanti collezionisti di arte contemporanea del mondo, che era stato anche grande amico dell’artista (e collaboratore nell’edizione di Interview e nella produzione di film).  

La mostra si sviluppa attraverso otto sale e mette in scena, in modo arioso e senza rigidità cronologiche, una scelta straordinaria di lavori che documentano al meglio tutte le fasi della ricerca di Warhol e tutti i suoi principali temi. Possiamo forse dire che la grande stanza dove c’è Marilyn è quella più emblematica nella sua ben studiata varietà di lavori: si va dalle icone della storia dell’arte e di Hollywood al sublime della banalità di una serie di Flowers (uno di questi ha un sottotitolo geniale A is orange, B is yellow, C&D are pink); dalla tragica e vuota serialità delle Electric Chairs e dei Car Crash alla presenza in centro di una grossa teca con un cumulo di scatoloni, rifatti in legno, di prodotti da supermercato (Brillo, Campbell, Kellog’s, Del Monte). E c’è anche un tocco di horror con The Kiss, il bacio di un vampiro cinematografico, opera già di proprietà di Cy Twombly, che Brant considera come una delle sue preferite perché ha «un’aria così elegante». Ma tutto il percorso è scandito con gruppi di lavori messi insieme dai curatori (lo stesso Brant e Francesco Bonami) con coerenza e efficacia di impatto visivo.  

FONTE: Francesco Poli (lastampa.it)

giovedì 24 ottobre 2013

Al Chiostro del Bramante, in mostra il fascino immortale di Cleopatra



Cleopatra, l'ultima vera regina d'Egitto, continua secolo dopo secolo a esercitare un fascino irresistibile e a scatenare curiosità con la sua figura e la sua storia. Ora una mostra a Roma («Cleopatra. Roma e l'incantesimo dell'Egitto», al Chiostro del Bramante fino al 2 febbraio 2014) intende far luce su tutti gli aspetti di questo personaggio intrigante, dall'aspetto al carattere, dal mondo che la circondava alle sue eredità.

Per realizzarla il Museo Egizio di Torino, i Musei Vaticani e i Musei Capitolini, il Museo Nazionale Romano, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, il Museo Egizio di Firenze, e ancora il British Museum di Londra, il Musée du Louvre di Parigi e il Kunsthistorisches Museum di Vienna hanno unito le proprie forze privandosi di pezzi prestigiosi per alcuni mesi.

L'esposizione approfondisce anche il rapporto tra Cleopatra e Roma, iniziato quando, poco più che ventenne, Cleopatra conquistò prima Giulio Cesare e poi Marco Antonio, aprendo tra l'altro la strada a quella liaison tra potere e sesso che si ripeterà all'infinito nella storia della politica fino ai giorni nostri. Tra i 180 capolavori esposti, da non perdere: il ritratto di Cleopatra cosiddetto Nahman, esposto in Italia per la prima volta e un ritratto di Ottavia, sposa di Marco Antonio e sorella di Augusto rilavorato come Cleopatra (questo esposto per la prima volta al mondo).

Un vero evento nell'evento il ritratto della regina d'Egitto giovanissima, realizzato probabilmente quando salì al trono nel 51 a.C. e anch'esso esposto in prima mondiale, l'Alessandro Magno «Guimet» del Museo del Louvre, capolavoro della scultura ellenistica, uno straordinario bronzo inedito che ritrae Alessandro Sole, figlio di Cleopatra e Marco Antonio e lo spettacolare ma quasi sconosciuto mosaico del Nilo, dal Museo di Priverno. Durante il percorso i visitatori possono anche scoprire la storia di Cleopatra e i suoi segreti raccontati in un video dallo scrittore Valerio Massimo Manfredi.

FONTE: ilmessaggero.it

mercoledì 23 ottobre 2013

Cose da sapere sulla collezione Mellon


Parte della raccolta del banchiere e politico statunitense che fondò la National Gallery of Art di Washington arriva al Museo dell’Ara Pacis di Roma. 

Nell’elenco dei migliori contribuenti americani negli anni Venti, dopo Rockfeller e Henry Ford, veniva Andrew W. Mellon. La sua carriera iniziò a Pittsburgh quando aveva diciannove anni e fu reclutato negli affari di famiglia. Era così abile che nel 1880 il padre fondò con lui la banca T. Mellon & Sons di cui due anni più tardi divenne proprietario. Ai successi in campo finanziario ed industriale, Mellon affiancò una carriera politica che lo portò a ricoprire per oltre dieci anni la carica di Segretario del Tesoro per i governi Harding, Coolidge e Hoover, e per tutta la vita si interessò di arte. 

Un suo ritratto è oggi appeso sul camino della sala dei Fondatori Mecenati della National Gallery di Washington. Un posto d’onore che gli è stato riservato per la sua attività di collezionista. La passione lo spinse infatti a raccogliere opere di grande valore che oggi rappresentano il nucleo centrale del patrimonio custodito nel museo, per cui Mellon si preoccupò di stipulare con il Congresso un accordo che prevedeva che nessun pezzo venisse aggiunto alla Galleria “se non dello stesso livello qualitativo”. 
E per livello si intende, Botticelli, Tiziano, Rembrandt, van Eyck, Raffaello, in gran parte entrati nella collezione all’inizio degli anni Trenta quando gli capitò la possibilità di concludere un grande acquisto di capolavori dell’Ermitage che Stalin voleva personalmente vendere per comprare dei trattori. 

L’ambizione di Mellon era quella di sintetizzare nella sua raccolta il meglio dell’arte Europea dal medioevo al XVIII secolo. Oltre ai maestri già citati, gli artisti francesi, impressionisti e postimpressionisti in particolare, ricoprono perciò un ruolo da giganti all’interno del patrimonio. 
Dal 23 ottobre, grazie allincontro tra la National Gallery of Art di Washington e l’assessorato alla cultura di Roma Capitale, proprio questa sezione della raccolta che contempla dipinti di Manet, Monet, Degas, Renoir, Toulose-Lautrec, Cèzanne, Gauguin e Van Gogh sarà in mostra negli spazi espositivi del Museo dell’Ara Pacis. 

FONTE: Ludovica Sanfelice (lastampa.it)

martedì 22 ottobre 2013

Romero Britto, la pop art arriva a Palazzo Torlonia


Mostra Romero Britto

E’ venuto a Roma questa volta per conoscere Papa Francesco. Uno dei principali esponenti della pop art mondiale, Romero Britto, è in questi giorni nella Capitale e a Palazzo Torlonia, organizzato da Gloria Porcella della galleria d'arte Ca' d'Oro di piazza di Spagna, espone alcune delle sue opere.

Colorate, piene di vita, veri e propri capolavori contemporanei. Apprezzati in tutto il mondo. Oggi ha regalato la sua riproduzione della Vergine Maria al Papa.

“Se non avessi l’arte la mia vita non sarebbe così piena di significato”, dice.

Tutto è cominciato in Brasile, dove l’artista è nato. “Ho iniziato a disegnare a otto anni e con il tempo ho capito che era quello che volevo fare a tempo pieno”.

“L’arte per me significa tutto – ci racconta – è come respirare”.

Negli anni è diventato un artista conosciuto in tutto il mondo. Disney, Ford e Campari hanno chiesto a lui di rappresentare i loro marchi. Per il 41esimo Super Bowl, Romero Britto ha anche realizzato i costumi di scena. E’ uno dei pochi artisti contemporanei in grado di conciliare creatività e pubblicità, rendendo l’arte popolare.

Anche per questo, è stato nominato dalla FIFA come ambasciatore per il Paese del Brasile. Tanti i ritratti fatti da lui di persone conosciute in tutto il mondo, dalla Regina Elisabetta a Andre Agassi.

E’ possibile visitare l’esposizione delle creazioni di Britto su appuntamento presso gli uffici Methorios Capital di Palazzo Torlonia fino al 10 novembre.

ROMERO BRITTO - a cura di Gloria Porcella e Lamberto Petrecca - Dal 20 ottobre al 10 novembre
Uffici Methorios Capital - Palazzo Torlonia - Via Bocca di Leone, 78 - 87 Roma

lunedì 21 ottobre 2013

Museo Passatempo: quando la memoria di un paese passa per gli oggetti


A Rossiglione in provincia di Genova inaugura uno spazio dedicato all’ esposizione di parte di una ricca collezione privata di oggetti capaci di raccontare l’Italia dal 1940 ad oggi. 

La memoria passa anche per gli oggetti. Ed è girando tra i mercatini e raccogliendone oltre cinquemila nell’arco degli ultimi trent’anni che il signor Guido Minetti, insieme alla moglie Sylvia Pizzorno, hanno dato vita ad una collezione capace di raccontare l’evoluzione del costume, della cultura e del sistema produttivo in Italia dal 1940 ad oggi. Vecchie Olivetti, un Commodore 64, giornali, la prima Barbie pieghevole, un proiettore, manifesti, motociclette, Vespe, biciclette. Di tutto. Fino a  riempire tre piani di casa e un garage che, su appuntamento e con il nome singolare di Collezione Passatempo, accoglievano i curiosi di passaggio per Rossiglione in provincia di Genova. 

Da sabato 19 ottobre, 250 oggetti della raccolta troveranno collocazione in un museo vero e proprio che manterrà il nome originale e sarà situato in Via Roma. Grazie ad un allestimento su misura e ad un’organizzazione del materiale in sale tematiche, i nostalgici potranno passare dai piccoli banchi di legno delle aule, all’emporio che vendeva liquirizie, bottoni e giocattoli, ad una vecchia sala cinematografica. 

All’inaugurazione interverrà anche Philippe Daverio. 

FONTE: L. SANFELICE (ARTE.IT)

domenica 20 ottobre 2013

Dalle statue Bantu al grande design Pad, cinque continenti in mostra


A Londra, nel cuore di Myfair, parte oggi la settima edizione della manifestazione che raccoglie artisti e designer di tutto il mondo

Ci sono pochi posti al mondo dove vedere raccolta una selezione di oggetti preziosi come al Pad London, in Berkeley Square, in pieno Myfair, il cuore chic della capitale. Alla settima edizione, la manifestazione, che si apre oggi, raccoglie gallerie di arte e design dai cinque continenti: un’esposizione di pezzi unici, che la maggior parte del pubblico potrà solo accontentarsi di guardare. 

Quest’anno ha una spazio particolare l’arte tribale, con la celebre collezione africana di Bernard Dulon che espone una deliziosa statua lignea di un guardiano del sepolcro, appartenuta alla tribù Fang, Bantù dell’Africa Centrale. Non mancano reperti egizi, romani e greci che potrebbero essere stare in un museo, e di fatto molti hanno lunghe permanenze nei musei nella loro storia. Per la prima volta è ospitata, alla galleria Jean Christophe Charbonnier, una collezione di armature giapponesi medievali. 

Gli americani della Van De Weghe Fine Art hanno un disegno femminile in acquerello e matita di Egon Schiele, “La ragazza con lo scialle giallo”, proveniente da una collezione privata, esposto per la prima volta. Per quel che riguarda l’arte, le gallerie italiane sono in prima fila: la Tega di Milano espone la scultura di una formosa donna di Botero a cavallo di un altrettanto formoso cavallo, insieme a De Chirico, Fontana, Morandi, Picasso e Basquiat. Gli espositori italiani sono concordi nel dire che per loro è il mercato straniero ad essere diventato strategico, dai noi la crisi non perdona. 

Particolarmente ricca la presenta di opere di designer del XX secolo, come la lampada da tavolo di Pietro Chiesa alla britannica 88-Galleria, destinata ad arredare una casa disegnata da Carlo Mollino nel 1938. Oppure la ormai classica “Egg Chair” di Arne Jacobsen alla galleria svedese Modernity. Pad London è un museo da non perdere e per qualcuno una boutique dove chiudere con il possesso il cerchio del piacere estetico. 

FONTE: Claudio Gallo (lastampa.it)

mercoledì 16 ottobre 2013

Lucian Freud per la prima volta a Vienna, In mostra: "Le persone come sono"


Esule a Londra durante il nazismo, ha sempre rifiutato gli inviti dei musei austriaci e tedeschi. E non ha mai voluto esporre nella città in cui suo nonno Sigmund, visse per quasi tutta la vita. Ha ceduto poco prima di morire, "per chiudere il cerchio"

Lucian Freud non ha vissuto  abbastanza per vedere i suoi quadri in esposizione a Vienna, la città in cui suo nonno Sigmund visse fino al 1938, quando fuggì dalle persecuzioni naziste. Un rapporto di odio-amore quello di Lucien, considerato il più grande pittore britannico della sua generazione, con la capitale austriaca. Nonostante lì fossero le sue radici il pittore rifiutò per tutta la vita di esporre le proprie opere nell'area dell'ex terzo Reich. Freud scappò da Berlino a Londra nel 1933 per sfuggire, come suo nonno, dall'olocausto che uccise parte della sua famiglia. Ma prima della morte avvenuta nel 2011 a 88 anni, l'anziano artista ha deciso di affrontare le sue paure e ha contrinbuito ad allestire la sua prima mostra viennese che aprirà oggi al Kungsthistorisches Museum di Vienna, per concludersi il prossimo 6 gennaio. 

" Lui - dice Jasper Sharp, curatore dell'esposizione e fidato amico dell'artista - non si è mai sentito a casa a Vienna, e in nessun modo avrebbe potuto esserla". " Fare una mostra lì - continua Sharp che ha conosciuto Lucian quando ancora il suo genio non era riconosciuto in tutto il mondo - rappresentava per lui quasi una guarigione, la chiusura del cerchio, è come se avesse guardato in faccia i suoi fantasmi". E così, dopo aver passato la vita a rifiutare le proposte arrivate da Germania e Austria, l'artista figurativo britannico ha improvvisamente accettato e aiutato a selezionare le 43 opere esposte.

"Ha approvato quest'esposizione - afferma l'amico di Freud - anche per l'amore dell'artista verso le collezioni del Kunsthistorisches Museum".  Il museo che ospita vaste collezioni appartenute alla famiglia reale degli Asburgo, tra cui opere di artisti come Tiziano, Velazquez e Rembrandt, che ha influenzato profondamente Freud, da sempre un assiduo frequentatore di musei. Una volta che per lui fare un giro al museo era curativo come andare dal medico.

La mostra ripercorre 70 anni di lavoro, dall'autoritratto in tempo di guerra del 1943  alla sua ultima opera rimasta incompiuta "Ritratto del segugio", che raffigura il suo assistente David Dawson e il suo whippet Eli e su cui Freud ha lavorato fino a due settimane prima di morire. "L'unica cosa che dovevi sapere durante la posa era che non dovevi assolutamente guardare l'orologio"  ha detto Dawson, che ha lavorato con Freud per più di 20 anni e le cui fotografie scattate in studio e a casa di Lucian saranno esposte nel Museo di Sigmund Freud , dove il fondatore della psicoanalisi ha vissuto e lavorato per anni .

Freud era abituato a lavorare intensamente, sette giorni su sette e fino a tredici ore al giorno. I suoi modelli potevano rimanere in posa per moltissime ore. Solo una volta fece un'eccezione e fu nel 2001 in occasione del ritratto fatto alla Regina Elisabetta II. A lei il pittore permise di posare solo due ore  a seduta. Il monarca è stato permesso di posare per due ore alla volta perchè lei disse che "aveva altre cose da fare". 

L'esposizione è ricca di alcuni nudi "larger- than-life" per cui Freud è famoso. Con i suoi toni sanguignei e carnali, si coglie la ruvidezza emotiva che nel tempo è diventato il suo marchio di fabbrica.  La maggior parte dei ritratti sono di se stesso, familiari e amanti , o di persone che incontrava per caso, come Susan Tilley, un'assistente sociale sovrappeso che spesso ritrasse nuda. Freud evitava di definirli " nudi " , perchè diceva che la nudità gli dava un'idea di perfezione cui non aspirava. "Io - ripeteva Lucian - non voglio dipingere le persone come appaiono. Voglio dipingere le persone come sono".

Una delle opere di Freud, in cui è ritratta Tilley, del 1995, " Benefits Supervisor Sleeping ",  fu venduta per 33,6 milioni di dollari nel 2008, all'epoca cifra record per un'opera di un artista vivente. La mostra viennese sarà probabilmente l'ultima grande mostra del pittore inglese prima del 2022, anno del centenario della nascita. 

Dawson ha detto che lui era una delle poche persone che potevano incontrare la famiglia, gli amici e le amanti di Freud. Lui infatti, tendeva a tenerli separati. Addirittura arrivava a farli sedere separatamente nei ritratti che li ritraevano insieme. Lucian si sposò due volte ed ebbe 14 figli riconosciuti. Dawson, che è a sua volta un pittore, ha lavorato alle sue opere nei pomeriggi in cui Freud riposava e mai si è pentito della sua decisione di dedicare gran parte della sua vita a Freud dopo l'incontro attraverso un lavoro di galleria part-time. "Ero a pezzi quando sono entrato in quello studio per la prima volta. Ho pensato che ci fosse il mondo intero in quella stanza " ha detto .

FONTE: Chiara Nardinocchi (repubblica.it)

martedì 15 ottobre 2013

Fotografia, il festival internazionale di Roma celebra l'assenza



Un festival che celebra l’assenza. È iniziata a Roma la XII edizione del Festival internazionale della fotografia, promosso dall’Assessorato alla Cultura, Creatività e Promozione Artistica di Roma Capitale, co-prodotto dal MACRO e Zètema Progetto Cultura.

Quest’anno, con un evento che durerà fino all’8 dicembre, è l’intera città ad accogliere le esposizioni e gli eventi. Fulcro dei tanti appuntamenti in programma è il museo MACRO di via Nizza.

Per l’occasione, il Festival animerà non solo gli spazi espositivi del museo, ma anche il foyer, l’auditorium e la Sala Cinema.

Obiettivo è creare una piazza vera e propria, in cui discutere e riflettere sulla fotografia contemporanea. Il tema di questa XII edizione è “vacatio”, vale a dire l’assenza e la sospensione nella fotografia, ma anche la condizione individuale di solitudine e l’identità. Particolare attenzione anche all’apporto dato dalle nuove tecnologie alla disciplina fotografica.

Tanti i protagonisti di un festival che invade molti spazi espositivi della città. La novità di questa edizione è la creazione di un comitato scientifico composto, tra gli altri, da Tim Davis e Guy Tillim.

Il programma prevede la partecipazione di 200 fotografi che esporranno le loro opere nelle oltre 100 mostre, lecture e workshop. Tra questi, Patrick Faigenbaum, vincitore dell’ultimo prestigioso premio Henri Cartier-Bresson e Guido Guidi, che terranno due delle otto lecture previste. Partecipano anche Adam Broomberk e Oliver Chanarin, vincitori del Deutsche Prize assegnato a Londra nel mese di giugno. Il Festival della fotografia ospiterà anche due personali degli italiani Paolo Pellegrin e Guido Guidi.

Presto il MACRO pubblicherà un catalogo dell’evento, in italiano e in inglese. E proprio alle tante case editrici coinvolte nel Festival sarà dedicata una sezione di approfondimento.

Queste le esposizioni:

ACCADEMIE E SPAZI ISTITUZIONALI:
Accademia di Francia a Villa Medici — Patrick Faigembaum, a cura di Jean-François Chevrier e Jeff Wall.
British School — Felix Davey, Possible Encounters, a cura di Jacopo Benci.
Fondazione Pastificio Cerere — Enrico Boccioletti, a cura di Alessandro Dandini de Sylva.
Museo di Roma in Trastevere — Horst Stein, Appearance, a cura del Forum Austriaco di Cultura.
Museo di Roma in Trastevere — Lee Jeffries, Homeless, a cura di Giovanni Cozzi.
Ex-GIL — aa.vv., Linee d’ombra, a cura di Stefano Simoncini.
Ex-GIL — Stefano Cioffi, Il fantasma della realtà, a cura di M.G. De Bonis.
GALLERIE E ALTRI SPAZI ESPOSITIVI:
Acta International — Karmen Corak, Ribi. Negli occhi dei pesci lacrime, a cura di Manuela De Leonardis.
Antonello Colonna Arte, Labico — Jochem Schoneveld, Rome Lost and Found, a cura di Marco Delogu.
Bgallery — Edoardo de Falchi, Displacements, a cura di Benedetta Cestelli Guidi.
Centro Luigi di Sarro — Pietrantonio, Emmanuel Rioufol, Yannick Vigouroux, Xavier Martel,Vacatio, a cura di Emma Ercoli, Xavier Martel.
Galleria 291 Est — Katrien de Blauwer, Where will we hide, a cura di Daniela Cotimbo, Paola Paleari.
Galleria Doozo — Yasuhiro Ogawa, Yuki – Winter Journey, a cura di Manuela De Leonardis.
Galleria Gallerati — Michele Cera, Domingo Milella, Urban Geographies, Valentina Isceri.
Il Mitreo – Arte Contemporanea Corviale — Saverio Maestrali, Said Bouterfa, Paesaggi dell’anima, a cura di Monica Melani.
Ilex — Nathalie Daoust, China Dolls, a cura di Deanna Richardson, Laura Mocci.
Laszlo Biro — Jessica Stewart, Erasure, a cura di Laszlo Biro.
MAAM Museo dell’Altro e Altrove Metropoliz — Carlo Gianferro, Ritratti di famiglia con opera, acura di Giorgio de Finis.
Museo Civico Zoologia Roma — Ludovica de Luca, Vedo doppio. Panorami a pellicola tra natura e città, a cura di Artnoise.
Officine Fotografiche — Francesco Minucci, Today – Tomorrow, a cura di Claudia Pettinari.
Libreria One Room — aa.vv., Vacatio Synthesis, a cura di Stefano Ruffa.
s.t. Foto Libreria Galleria — Lorenzo Castore, Notebook II, a cura di s.t.
Sala1 — Thomas Jorion, Timeless Islands, a cura di Emanuela Termine.
Spin / Laboratorio Fotografico Corsetti – Francesca Romana Guarnaschelli, Promessa Terra, a cura di Eugenio Corsetti e Niccolò Fano.

FONTE: Federica Ricca (ilmessaggero.it)

giovedì 10 ottobre 2013

I diciotto anni di Artecinema


A Napoli torna la manifestazione internazionale dedicata al Film sull’Arte Contemporanea in programma dal 10 al 13 ottobre. 

Inaugura oggi al Teatro San Carlo di Napoli la diciottesima edizione di Artecinema, Festival Internazionale Film sull’Arte Contemporanea che proseguirà fino al 13 ottobre nella sede del Teatro Augusteo.

Il programma, che raccoglie una selezione di 21 documentari organizzati nelle tre sezioni “Arte e Dintorni”, “Architettura” e “Fotografia”, prevede proiezioni in lingua originale con traduzione simultanea in cuffia intervallate da incontri e dibattiti con registi, artisti e produttori. 

L’ingresso è gratuito e tra gli appuntamenti da non lasciarsi sfuggire spiccano “Dammi i colori”, un lavoro sull’attuale Primo Ministro albanese Edi Rama, ex sindaco di Tirana, e artista che nel 2003 avviò un progetto per ravvivare la città colorando i palazzi e nel 2005 si guadagnò un posto nell’elenco stilato dal Time Magazine degli eroi europei che lavorano per cambiare in meglio il mondo. 
In cartello anche un documentario sul MUMO, museo mobile destinato ai bambini, installato in un container e trasportato su un apposito autocarro, a cui hanno contribuito 16 artisti di fama mondiale come Maurizio Cattelan, John Baldessari, Daniel Buren, James Turrel, Ghada Amer e Chéri Samba. E ancora opere dedicate a Dalì, Mirò, a Gaudì e al progetto della Sagrada Familia, a Costantin Brancusi, a Sol LeWitt, Liu Bolin, Henry Cartier-Bresson. 

FONTE: lastampa.it

mercoledì 9 ottobre 2013

Prato, un’officina di capolavori


Una grande mostra a Palazzo Pretorio mette in vetrina gli artisti, da Donatello a Filippo Lippi,  che hanno fatto della città toscana una capitale del nostro Rinascimento

La città di Prato ospita nel riordinato e rinnovato Palazzo Pretorio una mostra eccellente dal titolo molto longhiano «Da Donatello a Lippi. Officina pratese» a cura di Cristina Grossi Lavarelli e Andrea De Marchi. Questi, nel catalogo Skira, evoca la stupenda stagione rinascimentale intorno al Duomo, allora semplice prepositura di Santo Stefano: «All’ombra della vicina Firenze... la “terra di Prato”, così industre e prospera, doveva costruirsi un’immagine forte e autonoma, che fin dalle origini affidò in particolare a un mito identitario, quello della reliquia del Sacro Cingolo che Michele “Dagomari” aveva donato nel 1441 alla città. Per questo la chiesa di Santo Stefano, dove era venerata, divenne un palcoscenico straordinario, con vertice nelle grandi imprese quattrocentesche: il pulpito sulla piazza, gli affreschi della cappella dell’Assunta e della tribuna, la cancellata bronzea della cappella del Sacro Cingolo, il pulpito marmoreo all’interno. Davvero una cattedrale, mentre era un semplice prepositura». 

La mostra, con 51 tavole e affreschi strappati e 8 sculture, giunte da Firenze e da tutto il mondo (ci sono prestiti di Berlino, Budapest, Avignone, Parigi, Dublino, Philadelphia, Washington, Melbourne, Oxford) si dispiega per la scultura dagli esordi di Donatello all’alba del ’400 fino ai grandi candelabri di bronzo a sette braccia di Prato e di Pistoia, quarant’anni dopo, di Maso di Bartolomeo, l’autore della cancellata della cappella del Sacro Cingolo.  

Sul versante della pittura, si parte dall’affresco strappato dalla casa fiorentina materna di Paolo Uccello con la Madonna col Bambino del Museo di San Marco a Firenze intorno al 1420, per arrivare alla pala con Madonna e Santi di Filippino Lippi del 1503 già nella sala dell’Udienza del comune di Prato.  

Grandi tappe scandiscono la sequenza. L’anconetta in terracotta con Bambino e angeli del Museo di Palazzo Pretorio e la stupenda formella con la Creazione di Eva del Museo dell’Opera del Duomo di Firenze, in terracotta ricoperta con vernice ceramica, con forte anticipo di Luca della Robbia, furono entrambe rivendicate agli inizi di Donatello da Luciano Bellosi, lo studioso recentemente scomparso alla cui memoria, assieme a quella di Miklos Boscovits, è dedicata la mostra.  

Di grande bellezza, ed eccezionale anche nella sua storia espositiva, è la sezione dedicata all’opera di Paolo Uccello dal 1420 al 1440, dal già ricordato affresco strappato del Museo di San Marco alla Santa Monica già Contini Bonacossi degli Uffizi. Si susseguono l’incredibile, folle San Giorgio e il drago di Melbourne, con il santo che strozza a mani nude il drago avendo perduta la spada ai suoi piedi in prospettiva, l’Adorazione del Bambino e santi di Karlsruhe, l’Annunciazione di Oxford, la cosiddetta «Predella di Quarata» con la Natività, dove ricompare il cavallo di Melbourne, infine la Madonna con il Bambino e San Francesco già Contini Bonacossi oggi alla collezione Kress di Allentown.  

L’altro punto di forza è ovviamente quello dedicato a Fra Filippo Lippi, chiamato a Prato nel 1452 per leStorie di santo Stefano e di san Giovanni Battista nella tribuna del futuro Duomo. Egli è presentato in mostra a partire dalla poderosa, massiccia Madonna col Bambino altrettanto erculeo in una nicchia a conchiglia tipicamente rinascimentale conservata in Palazzo degli Alberti a Prato, intorno al 1436. È capofila di una serie culminante nella tavola della National Gallery di Washington, già Kress e nell’800 dei Musei di Berlino. Questa è affiancata dalla Madonna col Bambino in terracotta invetriata del Bargello di Luca della Robbia, dall’Ospedale fiorentino di Santa Maria Nuova. La sezione comprende capolavori come la Natività degli Uffizi dalla chiesa fiorentina di San Vincenzo d’Annalena, probabilmente già inviata da Prato, e la Madonna col Bambino e storie di Sant’Anna in tondo di Palazzo Pitti.  

La Madonna della Cintola e santi del Museo di Palazzo Pretorio proviene dal convento di Santa Margherita a Prato, teatro degli amori di Fra Filippo con la monaca Lucrezia Buti, da cui nacque intorno al 1456 il figlio Filippino. Un romanzo d’artista assai amato dalla cultura letteraria e pittorica protoromantica e troubadour.  
La gran bottega lippesca a Prato è illustrata da tre varianti di scuola dell’Annunciazione con San Giuliano e da gruppi di opere degli allievi e collaboratori. Sono ben rappresentati il Maestro della Natività di Castello, l’opera della Galleria dell’Accademia di Firenze esposta in mostra, così battezzato dal Berenson, e Bartolomeo di Feo detto Fra Diamante.  

Da Donatello a Lippi  
Officina pratese  
prato, Museo di Palazzo Pretorio 
Fino al 13 gennaio 2014 

FONTE: Marco Rosci (lastampa.it)

martedì 8 ottobre 2013

La stagione di Frida Kahlo


L’Orangerie dedica una mostra all’ artista messicana che sarà protagonista anche di una grande esposizione a Roma nella prossima primavera. 

L’arte come espressione della vita. Tragica e sofferta nel caso di Frida Kahlo che proprio attraverso la propria personalità e l’originalità di un lavoro che sfugge alle etichette si è trasformata in un’icona. Eppure malgrado l’affetto che tutto il mondo le riserva ogni volta che le sue opere vengono menzionate, le mostre a lei dedicate non sono poi così frequenti.

La nuova stagione culturale italiana sembra però voler porre rimedio a tale assenza con una grande esposizione alla Scuderie del Quirinale, attesa a Roma per la primavera del 2014. 
E nel frattempo, dal 9 ottobre al 13 gennaio, anche il Museo dell’Orangerie, in collaborazione con il museo Dolores Olmedo de Mexico, dopo 15 anni di silenzio porta a Parigi l’arte della Kahlo eccezionalmente esibita insieme a quella del compagno Diego Rivera, instaurando un dialogo tra i loro universi così differenti eppure complementari. 

Le opere di Frida, piccole e intime come diari, accostate ai murales di Diego, monumentali messaggi al pueblo negli anni successivi alla rivoluzione, offriranno l’occasione di mettere in luce il comune attaccamento alla terra che percorre le opere dei due artisti attraverso rimandi storici, mitici, simbolici, e anche la passione che li legò personalmente. 

FONTE: lastampa.it

domenica 6 ottobre 2013

I nudi di Walter Chappell a Modena


Dopo i nudi fotografici di Helmut Newton, sono quelli di Walter Chappell a fare tappa quest’anno in Italia.
La mostra Walter Chappell. Eternal Impermanence, in scena dal 13 settembre 2013 al 2 febbraio 2014, porta in anteprima mondiale negli spazi espositivi dell’ex Ospedale Sant’Agostino di Modena, oltre 150 fotografie vintage realizzate tra gli anni Cinquanta e i primi anni Ottanta da uno dei protagonisti più controversi della fotografia americana del XX secolo.
Il pensiero e la visione del mondo di Chappell (1925-2000) muovono dallericerche spirituali ed intimiste sviluppate tra gli anni Cinquanta e Settanta da artisti come Minor White, di cui Chappell fu allievo, e Paul Caponigro, per poi approdare a un territorio personalissimo, in cui la fotografia diventa la narrazione di un’esperienza di vita a stretto contatto con la natura e il mondo, intesi come campo d’azione e specialmente d’interazione.
Prototipo dell’artista hippie, Chappell ha sempre rifiutato il concetto di arte come business, tenendosi lontano da gallerie e circuiti commerciali. Ha condotto un’esistenza appartata, bohemien e primitiva, all’insegna della celebrazione dell’amore come energia che regola il cosmo e della vita come flusso ciclico, nella sua fattoria di Velarde, nel New Mexico, costante approdo di artisti e figli dei fiori.
Chappell ha fotografato numerosi soggetti, ma a stimolare più di ogni altra cosa la sua visione interiore è stata la natura evocativa del corpo umano, spesso in associazione alle forme del paesaggio e della vegetazione.
L’esposizione è accompagnata da un catalogo edito da Skira, corredato da tutte le immagini delle opere in mostra e da testi critici di approfondimento. In occasione della mostra è stata inoltre pubblicata e tradotta in italiano, sempre da Skira, la lunga intervista a Walter Chappell realizzata da uno dei figli, che ne raccolse le memorie biografiche poco prima della morte.
Ecco un passo: “Penso di essere stato un bambino abbastanza particolare, almeno stando alle storie che mi raccontavano. Mi mettevo a fissare le cose, fuori in cortile, e gli altri dicevano: ‘Walty è fuori a contemplare le cose’. Me ne stavo lì a guardare intensamente qualcosa che mi interessava. Cadevo in questo stato fin dalla tenera età”.

sabato 5 ottobre 2013

Lidén. L'arte del riciclo dell'asfalto...


La prima personale italiana dell'artista svedese al Museion. Lo show tra installazioni e sculture urbane


I manifesti staccati dai muri, le biciclette prese a manganellate, i coni segnaletici che diventano gabbie per pipistrelli. Klara Lidén, artista svedese alla sua prima personale in Italia, ha portato con sé tutto il suo articolato bagaglio artistico e culturale e lo espone ora al Museion di Bolzano dove, con l'installazione Autostrada Cafè, ha letteralmente trasportato la strada nello spazio espositivo. 

Con l'asfalto del passo del Brennero ha ricreato al quarto piano del museo un paesaggio straniante fatto di tavoli e sgabelli, composti da pezzi del manto stradale della vicina A22. La mostra è curata da Letizia Ragaglia, direttrice del Museion of Modern and Contemporary Art di Bolzano, che motiva la scelta di dedicare una personale alla Lidén parlando dell'impegno "intrapreso da diversi anni nell'avvicinare il pubblico al linguaggio della scultura, in particolare ai cambiamenti radicali che ha subito nella storia dell'arte recente; presentando artisti emergenti con un occhio attento alle figure femminili". La personale della Lidén ? si intitola Invalidenstraße, dal nome della celebre strada di Berlino, città dove l'artista, nata a Stoccolma nel 1979, vive e lavora. Di quel lungo viale tedesco, scenografia di episodi importanti della storia della Germania, le opere esposte in questa mostra conservano un po' il sapore di rabbia rivoluzionaria e irriverenza, ma mai fine a se stessa. 

L'artista, con un curriculum di personali in tutto il mondo, dal New Museum di New York alla Serpentine Gallery di Londra, non è infatti nuova a queste incursioni metropolitane. Lo spazio, sia publico che privato, è il tema che le interessa indagare più di ogni altro con ogni mezzo espressivo, fotografie, installazioni e video. Non è un caso che sia stata anche tra le artiste invitate nel padiglione dei Paesi Nordici alla 53a Biennale, quello curato da Elmgreen&Dragset, che proprio sugli spazi pubblici e privati hanno spesso incentrato la loro ricerca. Ma soprattutto la Lidèn è quella che, nel 2011, piazzò all'Arsenale di Venezia una installazione -Untitled (Trashcan) - composta di quattro secchi per la spazzatura: in pochi se ne accorsero, i più ci hanno gettato dentro rifiuti, dalle carte di caramelle alle bottigliette di plastica vuote ma  l'opera non sfuggì alla giuria che gli diede proprio per quel lavoro una menzione speciale alla 54ma Biennale.

Suoi anche i famosi Poster Paintings, sovrapposizioni di manifesti raccolti nelle strade, staccati dai muri e portati a casa in bici per essere incollati uno sull'altro in museo o galleria: quasi una rivisitazione del Nouveau réalisme attualizzata ai giorni nostri e con un un'attitudine quasi punk che cela una critica sociale dal sapore forte, seppure mascherato da tratti assurdi, no sense e ironici. Sfumature che si colgono di più di fronte ai suoi video, come Der Mythos des Fortschritts,  in cui cammina facendo il passo di Michael Jackson in una New York notturna o Bodies of Society, in cui citando "Arancia Meccanica", si accenna a scene di violenza domestica, scagliandosi dentro all'interno di una stanza, contro una bicicletta, inizialmente quasi acccarezzandola poi distruggendola a bastonate. 

Tra lavori datati e inediti vedendo la mostra si può conoscere meglio un'artista che lavora con oggetti di uso quotidiano rivitalizzandoli come fossero ready made, senza conferirgli però nessuna aurea di "lavoro su piedistallo", anzi rimanendo sempre su toni quasi ironici e spiazzanti, dalla sfera pubblica a quella privata, quasi fosse una ispiratissima squatter dell'arte contemporanea.

La scheda
Klara Lidén, Invalidenstraße
a cura di Letizia Ragaglia 
Durata mostra: fino al 12 gennaio 2014
Orari: da martedì a domenica 10-18. 
Giovedì 10-22 con ingresso gratuito dalle 18 alle 22 e visita guidata gratuita alle 19.00. 
Lunedì chiuso. Biglietto d'ingresso: intero € 6, ridotto 3,50.
Museion, Via Dante 6, Bolzano 

giovedì 3 ottobre 2013

In ricordo di Mario Lattes


Due mostre celebrano i novant’anni della nascita dell’editore e artista della Torino colta

A novant’anni dalla nascita di Mario Lattes, avvenuta il 25 ottobre del 1923 a Torino, la Fondazione Bottari Lattes si fa promotrice di due eposizioni che celebrano l’attività del fecondo artista che si dedicò alla sperimentazione di tecniche e linguaggi differenti nel campo della scrittura, dell’editoria, della cultura, del collezionismo e della pittura.

A caratterizzare la sua opera fu un’eleganza inquieta e sepolcrale, erudita e solitaria, misantropa e in un certo senso addolorata perchè pervasa da un sentimento di condanna all’esclusione.

Il doppio omaggio comincia con l’appuntamento alla galleria Massucco di Acqui Terme che, dal 3 ottobre al 9 novembre, presenterà una selezione di oltre quaranta olii su tela promuovendo in primo piano le opere più suggestive ed espressioniste che l’artista produsse tra gli anni Cinquanta e gli anni Novanta. Dall’8 ottobre al 9 novembre, anche Torino celebrerà la ricorrenza nello Spazio Don Chisciotte dove invece verranno esposti una ventina di fogli, piccola antologia della vastissima produzione incisoria di Lattes che dell’acquaforte apprezzava la “natura notturna”.

FONTE: LUDOVICA SANFELICE (ARTE.IT)

mercoledì 2 ottobre 2013

Gatti e fanciulle al Met



Il Metropolitan Museum of Arts affronta le ossessioni di Balthus

Il Metropolitan Museum of Arts di New York affonda la propria attenzione nelle ossessioni di Balthus, mettendo sotto la lente 34 dipinti realizzati tra la metà degli anni Trenta e gli anni Cinquanta e 40 studi a inchiostro per il libro “Mitsou” (con introduzione del poeta Rilke) creati dall’artista quando aveva 11 anni e mostrati al pubblico per la prima volta.


Al centro della scena: i gatti e le fanciulle, osservati nella permanente fascinazione che questi soggetti esercitarono su Balthus nell’arco della sua carriera. L’interessante percorso infatti è organizzato nel rispetto dell’ordine cronologico in cui le opere vennero prodotte, e consente di mettere in luce l’ambigua attrazione del pittore per la vena erotica e conturbante espressa dalle bambine alla soglia dell’adolescenza, piccole ninfette più volte ritratte insieme agli enigmatici felini. 

Quella del Met è la prima mostra dedicata all’artista che si svolga da trent’anni a questa parte in suolo Americano. Una rarità in programma fino al prossimo 12 gennaio. 

FONTE: arte.it

martedì 1 ottobre 2013

Braque, l’emozione ha le sue regole



A Parigi una grande mostra ripercorre la carriera di uno dei protagonisti del ’900: la sua sperimentazione cubista ha cambiato il modo  di vedere e fare pittura


Nel mio ricordo è Braque che ha realizzato il primo dipinto cubista. Aveva portato dal Sud un paesaggio mediterraneo che rappresentava un villaggio sul bordo del mare, visto dall’alto». Così scrive Matisse nella Testimonianza contro Gertrud Stein, redatta nel 1935 da un gruppo di artisti e critici per smentire gli ingiusti giudizi contro il pittore normanno che si leggono nell’Autobiografia di Alice Toklas. Matisse (che peraltro è il primo a parlare di pittura fatta di «piccoli cubi») fa riferimento a uno dei paesaggi de L’Estaque esposti nel novembre 1908 nella galleria di Kahnweiler, in cui le distorsioni spaziali cézanniane vengono portate all’estremo fino alla soglia della rottura della logica prospettica tradizionale. 

Anche se la precedente esperienza fauve è significativa, è a partire da questa mostra che inizia la fase cruciale della sperimentazione artistica di Georges Braque, quella dell’invenzione e dello sviluppo analitico e sintetico della scomposizione cubista, in stretta collaborazione con Picasso, dal 1909 al 1914. E in questa invenzione il contributo di Braque è stato per certi aspetti più determinante, in particolare per quello che riguarda l’inserimento di caratteri tipografici, e l’invenzione nel settembre 1912 deipapiers collés. Dopo aver creato insieme i presupposti per una radicale rivoluzione del linguaggio plastico pittorico, le strade dei due artisti si dividono. Mentre Picasso continuerà in maniera travolgente a dominare la scena con un’evoluzione continua sempre provocatoria della sua ricerca, Braque dal dopoguerra in poi, porterà avanti il suo lavoro con mirabile coerenza, con evoluzioni e variazioni mai eclatanti, riassorbendo la straordinaria tensione innovativa dell’eroica stagione cubista all’interno di una più tranquillizzante e meditata dimensione pittorica.  

Gli aspetti fondamentali del suo linguaggio (la frammentazione dei piani spaziali, la composizione intesa come una partitura visiva, la separazione fra colore e forme, l’elaborata fisicizzazione delle materie pittoriche) rimangono costanti. Nel 1915 Braque viene gravemente ferito in guerra e ricomincia a dipingere solo nel 1917. Questo trauma sembra cambiare definitivamente il suo carattere, tanto che molti (tra cui per esempio Breton) pensano che la sua energia inventiva si sia inesorabilmente affievolita. Ma è un giudizio sbagliato, basato anche su un improponibile confronto con l’effervescenza vitalistica di Picasso. Per capire veramente l’arte di Braque bisogna guardare tutto l’insieme della sua produzione, bisogna capire quello che è il peculiare registro della sua sensibilità, del suo raffinatissimo senso della misura («la regola che corregge l’emozione»), della sua sottile ironia metalinguistica, e della sua profonda integrità allo stesso tempo etica ed estetica. E ci si può rendere conto di questo, nel migliore dei modi, visitando la magnifica esposizione che si aperta al Grand Palais, la più importante e completa retrospettiva sull’artista dopo quella del 1973 all’Orangerie. 

La mostra, che ha una classica impostazione cronologica, è divisa in una serie di sezioni che documentano con opere della più alta qualità, le principali fasi della sua lunga avventura creativa: la coloratissima esperienza fauve; tutti i passaggi essenziali delle sperimentazioni cubiste (dal protocubismo cézanniano alla frammentazione analitica, dai papiers collés alle solide composizioni sintetiche); le nature morte e le figure degli Anni 20 (tra cui le classicheggianti Canéphores); le nature morte e gli interni con figure degli Anni 30; l’affascinante serie di figurazioni lineari ispirate alla Teogonia di Esiodo (1930-32); i sorprendenti e sghembi Billards del 1944-49; le complesse e stratificate composizioni dei grandi Ateliers (1949-56) che sono un mirabile sintesi della sua sapienza pittorica; e infine, degli ultimi anni, i semi-astratti Oiseaux, con forti valenze poetiche metafisiche, e i melanconici paesaggi quasi figurativi, di una accentuata orizzontalità senza futuro.  

L’impostazione cronologica impone un senso filologico e documentario alla visita, certamente utile ma troppo istituzionale (Braque è un monumento storico per i francesi), ma impedisce, per certi versi, una visione meno eterodiretta. E quindi è consigliabile alla fine del percorso ritornare indietro e guardare in modo più libero le singole opere secondo criteri più anarchici, e forse così si può arrivare a scoprire il vero segreto della visione estetica di un grande artista come Braque. 

E in questo senso è bene ricordare quello che ha detto Giacometti per rendere omaggio a Braque, in occasione della sua morte: «Di tutta la sua opera, io guardo con più interesse, curiosità e emozione i piccoli paesaggi, le nature morte degli ultimi anni. Io guardo questa pittura quasi timida, imponderabile, questa pittura nuda, di una ben diversa audacia, di una ben più grande audacia di quella degli anni lontani; pittura che secondo me si situa al vertice dell’arte d’oggi con tutti i suoi conflitti». Forse, questa interpretazione esistenzialista di un artista che ha sempre (apparentemente) evitato ogni valenza personale esplicita nel proprio lavoro, è la più vera.  

GEORGES BRAQUE  
PARIGI, GRAND PALAIS  
AVENUE WINSTON-CHURCHILL  
FINO AL 6 GENNAIO