martedì 23 febbraio 2016

La passerella di Christo sul Lago d’Iseo

La passerella di Christo sul Lago d’Iseo

Christo “si ferma” a Iseo nel 2016.
Il celebre artista bulgaro-francese che di nome fa Yavachev sceglie illago lombardo, situato a 100 chilometri a est di Milano e 200 chilometri ad ovest di Venezia, come scenario d’eccezione per la sua prossima installazione.
Meteo permettendo, dal 18 giugno al 3 luglio il panoramico bacino lacustre lombardo ospiterà una passerella formata da 200mila metri cubi di polietilene ad alta densità e rivestita da 70mila metri quadri di tela gialla, lo stesso colore usato per i teli di The Gates, altra installazione realizzata a Central Park a New York nel mese di febbraio 2005.

Il pontile galleggiante, rinominato The Floating Piers, guiderà i visitatori lungo un percorso di 3 chilometri sospeso sull’acqua che partirà da Sulzano e raggiungerà Monte Isola passando per l’Isola di San Paolo, proseguendo per 1,5 chilometri di strade pedonali anche tra Sulzano e Peschiera Maraglio.
Ad accompagnare Christo in quello che si preannuncia l’evento artistico italiano dell’anno ci sonoVladimir Yavashev (Operations Manager), Wolfgang Volz (Project Manager), Josy Kraft (Curatore) e il Direttore del progetto Germano Celant.

The Floating Piers sarà finanziata interamente attraverso la vendita delle opere d’arte di Christo. Trascorsi i 16 giorni di esposizione, le componenti della passerella saranno rimosse e riciclate industrialmente.
A distanza di 48 anni dalla sua prima performance in terra italiana – nel 1968 ha incelofanato unafontana e la torre medievale di Spoleto – Christo è pronto a riportare il suo estro creativo nel Belpaese.


FONTE: luxgallery.it

lunedì 22 febbraio 2016

L’arte come ricerca mistica: Faig Ahmed

L’artista azero ha realizzato delle opere site specific per il MACRO con un tema curioso: il sufismo

'Points of Perception' è la prima mostra personale italiana presso un museo dell’artista azero Faig Ahmed, ospitata allestita al MACRO di Testaccio fino al 29 marzo 2016. Si tratta di una serie di opere site-specific, che hanno come filo conduttore il sufismo, forma di ricerca mistica che appartiene alla cultura islamica; la mostra è curata da Claudio Libero Pisano, promossa da Roma Capitale - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, dall’Ambasciata della Repubblica dell’Azerbaigian in Italia, e realizzata in collaborazione con la galleria Montoro12 Contemporary Art di Roma.
 Faig Ahmed ha realizzato delle opere che rappresentano la relazione tra coscienza e tutto ciò che c’è al di fuori di essa, intrecciandosi con il filo conduttore del sufismo come ricerca mistica. L’arte è uno strumento per ampliare i sensi, e l’artista sperimenta tecniche diverse collegandole a pratiche mistiche, trovando una sua peculiare soluzione all’interrogativo sulla percezione della verità. I percorsi dell’arte, sin dalle sue forme ancestrali, sono sempre serviti ad indagare il confine tra coscienza e percezione, tra misticismo e realtà, tracciando una sorta di mappa della comprensione umana. L’artista in questo contesto utilizza l’ascetismo Sufi per contrasto, interpretando la realtà nei suoi aspetti più concreti, e utilizzando l’arte come passe-partout per riconnettere passato e presente, tradizione e modernità. Infiniti linguaggi ed infinite tecniche che trovano il modo di mettere in relazione mente e corpo, e le opere che ne nascono condividono con lo spettatore interrogativi, meraviglia e stupore. 
 La mostra è composta da numerose opere, tra cui grandi installazioni, video, e i noti 'carpet works', con i quali l’artista trasforma oggetti dalla tradizione secolare in imponenti opere d’arte contemporanea, creando manufatti che sembrano proiettati nel futuro grazie a un’estetica azzardata e fuori dal tempo, nonostante l’esecuzione fedele ad antichissimi procedimenti. Partendo infatti dal design dei tradizionali tappeti dell'Asia centrale, Ahmed li manomette e li riprogetta in forma digitale sul computer. Il risultato è trasportato su disegni a grandezza naturale, che, come nella realizzazione dei tappeti tradizionali, vengono poi realizzati da artigiani locali su telai tradizionali, dando vita ad oggetti nei quali si è portati a perdersi, dove il segno viene continuamente spostato, pixellato, liquefatto. Al centro della sala, una monumentale installazione che sfida le leggi fisiche e dispone il pavimento tessuto di una moschea in una sorta di onda che travolgere lo spettatore.  

FONTE: lastampa.it 


giovedì 18 febbraio 2016

Pomodoro, i 90 anni dell'ultimo maestro del bronzo

Arnaldo Pomodoro, a Londra a 90 anni (e dopo 50)


L’artista italiano, che dal 10 febbraio torna in mostra a Londra dopo 50 anni, nella sede della galleria Tornabuoni Art, racconta della sua arte e del suo originale mix tra materiali pregiati e - letteralmente - avanzi. "Sedie, pezzi di ruote rotte: la mia argilla"


Sfere, archi, dischi, archi: trentacinque opere, tanto bronzo. Dopo cinquanta anni torna in mostra a Londra un artista italiano conosciuto in tutto il mondo: Arnaldo Pomodoro. La sua fama è proporzionale alla presenza delle sue opere nelle piazza di molte città, dentro e fuori i confini de nostro Paese, da Milano a Sorrento, passando per Torino, Copenaghen, Brisbane, Los Angeles, Dublino dove una sua opera è collocata di fronte al famoso Trinity College. Poi ci sono anche le sculture nei musei e nelle gallerie d’arte, dove torna in questi giorni. Pomodoro, nato quasi 90 anni fa (nel giugno 1926)  in un paese nel confine tra Marche, Emilia Romagna e Toscana, è  infatti, il protagonista di una grande personale che si tiene dal 10 febbraio al 16 aprile nella sede londinese di Tornabuoni Art, aperta ad ottobre 2015 da Ursula Casamonti, gallerista forte della sua esperienza acquisita lavorando al fianco di suo padre e suo fratello per oltre venti anni di gestione Tornabuoni Arte, galleria fondata a Firenze nel 1981 e che ha dato vita, nel tempo, a diversi spazi espositivi, tutti specializzati nell’arte italiana del dopoguerra.

La mostra, allestita sui due piani della galleria, inizia con la “Grande Tavola dei Segni”, opera del 1960, con cui Pomodoro esplora ciò che lui stesso descrive come "una lingua segreta”, citando l'influenza di Paul Klee. Questa prima opera, come la maggior parte delle sculture e dei bassorilievi esposti, è realizzata in bronzo. Ho chiesto all’artista di parlarci del suo lavoro, proprio a partire dal metallo che lo ha reso famoso.

Il materiale a cui è più legato il suo lavoro è indubbiamente il bronzo, come testimoniano anche la maggior parte delle opere in mostra nella galleria Tornabuoni di Londra.
Si, appena ho potuto ho usato il bronzo, che ho scelto perché è un materiale che risponde a ciò che desidero: lo posso patinare, lucidare e ha molte sfaccettature e ricchezza. Questo non mi ha fatto escludere comunque l’uso di altri materiali, che ho sperimentato, facendo ad esempio lavori di piombo molto grandi e anche di legno. Penso che tutti i materiali sono buoni per la scultura.

È cambiato il modo di lavorare manualmente il bronzo?
Il bronzo è un metallo bellissimo, come l’oro. Si camuffa anche da oro, è un può più grezzo ma fa ottenere superfici dello stesso effetto. Non è cambiato il modo di lavorarlo  ma oggi come oggi sono uno dei pochi rimasti a lavoraci ancora. Io mi avvicino alla vecchiaia, non resteranno in molti a lavorare con questo materiale, che è anche caro da morire, appunto come l’oro.

Quale è il suo metodo e quale la sua tecnica?
Il lavoro lo seguo sempre fino alla fine, senza preoccuparmi di farlo leggero o pesante, usando sempre quello che mi piace e che mi serve, e anche quello che trovo accidentalmente, qualche volta. Nei miei lavori troverà pezzi di ruote rotte, frammenti che trovo e pigio nella terra, riscattandoli e amalgamandoli tra loro. Ci sono anche pezzi di sedie, per esempio, o elementi trovati che, nel lavoro finito non si vedono: li pigio nella terra per poi fare una gettata con il gesso, al fine di creare un’impronta. Tutto quello che ho fatto l’ho creato inizialmente in “negativo”, quindi anche pensando in negativo. La cosa bellissima è che, molte volte, dopo aver gettato il materiale, nel momento di togliere tutto quello che è stato ormai coperto, ottengo lavori che stupiscono anche me. Si dice scultore dal “pollice felice” perché si usa il pollice, a me piace parlare di terra felice,  terra intesa proprio nel senso di argilla. Così come i materiali ci sono tecniche diverse: lavorare in negativo è stato il modo che più mi ha risolto le cose, il rilievo veniva da tutti gli elementi che io pigiavo. Così ho inserito nella terra tutto ciò che avevo intorno nella vita, come i ricordi, facendo una composizione di quello che trovavo: frammenti di elementi rigettati dal mare trovati sulla riva, altre volte cose buttate via, sempre poi composte con la mia fantasia in modo da ottenere i bassorilievi.

Alcuni suoi lavori hanno riferimenti alla cultura egiziana, a cominciare dalle forme piramidali; le sue opere collocate a Terni ricordano le sculture di fango a Djenné. Che rapporti ha con l’Africa?
Effettivamente le opere poi diventano un miscuglio dell’insieme, di tutto. Quando si viene influenzati da diverse culture e poi si cerca di mettere insieme i ricordi in materia personale, allora tutto diventa il mio segno,  quello pensato da me che è diverso da quello che pensa lei e chiunque altro. Più che con l’Africa il rapporto è con tutto ciò che accade nei Paesi sottosviluppati, dove esistono forme più primitive, nuove. Non solo l’unico che lavora nella scultura con i grandi bassorilievi che occupano lo spazio. Mark di Suvero, per esempio, è un altro artista che non ama molto il rilievo ma che crea anche lui grandi sculture. Lui ha usato spesso forme di piramidi, che ha persino messo insieme, con delle catene, facendole muovere con il vento, creando qualcosa di meraviglioso.

Prima dell’Africa c’è il Montefeltro, dove è nato lei e anche Piero della Francesca.
Non diciamola così. Ci è nato lui, io sono nato ai confini... Scherzo dicendo “Arnaldo Pomorodo da Moltefeltro”. La zona ha visto nascere i primi elementi sculturali, direi che il Rinascimento è nato lì; mi piace scherzare sull’essere originario di quelle parti che, sì, ci hanno effettivamente dato molto dal punto di vista artistico.

FONTE: Valentina Bernabei (repubblica.it)

mercoledì 17 febbraio 2016

Androidèi, i robot di Pixel pancho invadono Roma


Dal 19 febbraio al 3 aprile Galleria Varsi ospiterà la mostra personale di uno degli street artists italiani più conosciuti al mondo 

Pixelpancho arriva a Roma con la sua inconfondibile tag, un piccolo androide. Dal 19 febbraio al 3 aprile la Galleria Varsi, tra le più giovani realtà che producono street culture nella Capitale, ospiterà “Androidèi” la mostra personale di uno degli street artist italiani più conosciuti e apprezzati al mondo, con oltre 100mila followers su Instagram. 
 Gli “Androidèi” sono i soggetti delle opere dell'artista, all’interno delle quali i Robot e gli dèi si incon¬trano per fondersi in un’unica entità soprannaturale. L’uomo è protagonista senza mai comparire in carne ed ossa, la sua pelle sensibile diviene ferro, il suo animo ingranaggio. E spiega: “Il corpo umano è interessante da un punto di vista anatomico: il modo in cui funziona è veramente affascinante e ispira tutti i miei disegni”.
La riflessione dell’artista torinese sull’uomo, espressa nel tempo attraverso metafore visionarie, si fonda su una rappresentazione fantastica della realtà e che la trascende per raccontarla attraverso le 19 opere che saranno presenti all’interno della mostra: dipinti in acrilico su pannelli di legno, sketch e incisioni su carta e una scultura in gesso, ceramica e ferro.  In linea con il tema della mostra, la Galleria Varsi si trasformerà in una domus romana: le opere si sostituiranno agli affreschi, la natura prenderà possesso dello spazio in un luogo colmo di suggestioni. “Punto di forza della Galleria – ha dichiarato Massimo Scrocca, il fondatore – è proprio la continua mutazione che apportiamo allo spazio, tra installazioni e dipinti sui muri interni, dando così la sensazione al fruitore di entrare a contatto direttamente con la visione dell'artista”.
L’artista realizzerà inoltre un murales nel quartiere Primavalle, in collaborazione con il collettivo Muracci Nostri e gli artisti e realtà locali per portare nella periferia del territorio l'impatto e le suggestioni della street art che ne racconta così storia, simboli e memorie.

FONTE: Salvo Cagnazzo (lastampa.it)


lunedì 15 febbraio 2016

Una grande mostra celebra il genio di Duchamp e i 100 anni del Dadaismo

La rassegna ad Ascona presenta una selezione delle più importanti opere dell’artista affiancate a quelle dei maggiori esponenti di Fluxus

Nel 2016, la Svizzera festeggia il 100° anniversario del movimento Dada, fondato a Zurigo nell’ormai leggendario Cabaret Voltaire. Per ricordarne i protagonisti, il Museo Comunale di Ascona (Canton Ticino, sul Lago Maggiore) ospita dal 25 marzo al 26 giugno una grande mostra dedicata al genio di Marcel Duchamp, tra le figura di punta del movimento che ha avuto influenze cruciali nell’arte di tutto il Novecento. 

Esposti i capolavori provenienti dallo Staatliches Museum di Schwerin, in Germania, dove sono custoditi i nuclei più importanti della produzione del famoso artista francese, attraverso i quali si potranno ripercorrere le sue straordinarie intuizioni nel segno della trasgressione e del gioco e al tempo stesso individuare le innumerevoli suggestioni presenti nei movimenti del XX secolo, dalla Pop Art a Fluxus alla Mail Art.  

La rassegna (in collaborazione con l’istituto museale tedesco) si intitola «Marcel Duchamp. Dada e Neodada» e offrirà una selezione delle emblematiche opere dell’artista, affiancate a quelle dei maggiori esponenti di Fluxus. 

FONTE: lastampa.it

martedì 9 febbraio 2016

Palazzo Reale di Milano apre il 2016 con il Simbolismo

Fino al 5 giugno la mostra dedicata al movimento di passaggio dall’800 al ’900 mette a confronto artisti italiani e stranieri grazie a circa un centinaio di dipinti

La prima grande mostra del 2016 di Palazzo Reale è dedicata al Simbolismo, uno dei movimenti artistici che hanno marcato il passaggio dall’Ottocento al Novecento, segnando il superamento della rappresentazione oggettiva della realtà e approdando a una dimensione più intima e soggettiva del reale. 

Con oltre 2.000 mq di superficie espositiva e 24 sale site al piano nobile di Palazzo Reale di Milano, Il Simbolismo. Arte in Europa dalla Belle Époque alla Grande Guerra mette per la prima volta a confronto i simbolisti italiani con quelli stranieri grazie a circa un centinaio di dipinti, oltre alla scultura e una eccezionale selezione di grafica, che rappresenta uno dei versanti più interessanti della produzione artistica del Simbolismo, provenienti da importanti istituzioni museali italiane ed europee oltre che da collezioni private. 

La mostra, oltre a permettere un approfondito e aggiornato studio del periodo, che vede la pubblicazione di importanti saggi di approfondimento nel catalogo edito da 24 Ore Cultura, ha reso possibile il restauro, la pulitura e la manutenzione di oltre dieci opere provenienti da Ca’ Pesaro di Venezia, dell’Autoritratto di Arnold Böcklin, della Galleria degli Uffizi di Firenze e delle cornici de L’Eroica di Gaetano Previati, dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra, e del polittico di Giulio Aristide Sartorio, Le Vergini Savie e Le Vergini Stolte, di proprietà della Galleria Comunale d’Arte Moderna di Roma. Si tratta di un’importante operazione che dimostra come le mostre temporanee, oltre a valorizzare le opere, possano essere anche l’occasione per una partecipazione attiva alla conservazione del patrimonio artistico italiano grazie ai finanziamenti che da esse ne derivano. 

Il Simbolismo è, al tempo stesso, un momento di chiusura al progresso e a una società dominata dall’imperio della quantità e di apertura per affermare una modernità che, sulla scia della poesia di Baudelaire, fa della resistenza al moderno il proprio segno di riconoscimento.  

Dal punto di vista figurativo, si avvia un recupero delle immagini di quel «paradiso perduto» identificato nella pittura dei primitivi italiani e, in generale, dei miti originari. Grande tramite di questa rivoluzione delle immagini è la letteratura, in cui il tema del sogno, del delirio indotto dagli oppiacei, della follia sembra unificare quella cultura europea che verrà rivoluzionata dal volume dell’Interpretazione dei sogni pubblicata da Sigmund Freud a Vienna nel 1900. 
Ne deriva il recupero della dimensione onirica, del mondo eroico della mitologia, di temi scabrosi come l’amore erotico, la morte e il peccato. 

Promossa dal Comune di Milano-Cultura e prodotta da Palazzo Reale, 24 Ore Cultura - Gruppo 24 Ore e Arthemisia Group, la mostra è a cura di Fernando Mazzocca e Claudia Zevi in collaborazione con Michel Draguet.

FONTE: lastampa.it


lunedì 8 febbraio 2016

Banksy e il nuovo graffito sui migranti di Calais

L'ultimo murales dell'artista a Londra denuncia le condizioni dei rifugiati alla frontiera con la Francia. Ma non è la prima opera del writer sulla gestione dell'immigrazione in Europa.

Un nuovo graffito di Banksy è comparso accanto all'ambasciata francese di Londra. L'opera raffigura una giovane donna in lacrime - probabilmente Cosette, un personaggio de I miserabili di Victor Hugo - con ai piedi una latta di gas lacrimogeno, e alle spalle la bandiera francese.

Il murales rappresenta una critica aperta al trattamento riservato ai migranti che si trovano nel campo profughi di Calais, nel nord della Francia sul canale della Manica, davanti alla costa inglese. Di recente, nel tentativo di demolire una parte della baraccopoli, soprannominata "The Jungle" (la giungla) per le condizioni in cui i migranti sono costretti a vivere, sarebbero stati usati anche gas lacrimogeni. Da qui il riferimento nel graffito.

Nel video si vedrebbero chiaramente proiettili di gomma e gas lacrimogeni lanciati dalle autorità francesi, le quali però hanno negato di averli utilizzati. Non è la prima volta che Banksy interviene, con il proprio lavoro, sulla questione del trattamento riservato ai rifugiati e sulla loro gestione da parte delle istituzioni europee.

FONTE: Elisabetta Intini (focus.it)

venerdì 5 febbraio 2016

Palazzo Reale di Milano apre il 2016 con il Simbolismo

Fino al 5 giugno la mostra dedicata al movimento di passaggio dall’800 al ’900 mette a confronto artisti italiani e stranieri grazie a circa un centinaio di dipinti

La prima grande mostra del 2016 di Palazzo Reale è dedicata al Simbolismo, uno dei movimenti artistici che hanno marcato il passaggio dall’Ottocento al Novecento, segnando il superamento della rappresentazione oggettiva della realtà e approdando a una dimensione più intima e soggettiva del reale. 

Con oltre 2.000 mq di superficie espositiva e 24 sale site al piano nobile di Palazzo Reale di Milano, Il Simbolismo. Arte in Europa dalla Belle Époque alla Grande Guerra mette per la prima volta a confronto i simbolisti italiani con quelli stranieri grazie a circa un centinaio di dipinti, oltre alla scultura e una eccezionale selezione di grafica, che rappresenta uno dei versanti più interessanti della produzione artistica del Simbolismo, provenienti da importanti istituzioni museali italiane ed europee oltre che da collezioni private. 

La mostra, oltre a permettere un approfondito e aggiornato studio del periodo, che vede la pubblicazione di importanti saggi di approfondimento nel catalogo edito da 24 Ore Cultura, ha reso possibile il restauro, la pulitura e la manutenzione di oltre dieci opere provenienti da Ca’ Pesaro di Venezia, dell’Autoritratto di Arnold Böcklin, della Galleria degli Uffizi di Firenze e delle cornici de L’Eroica di Gaetano Previati, dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra, e del polittico di Giulio Aristide Sartorio, Le Vergini Savie e Le Vergini Stolte, di proprietà della Galleria Comunale d’Arte Moderna di Roma. Si tratta di un’importante operazione che dimostra come le mostre temporanee, oltre a valorizzare le opere, possano essere anche l’occasione per una partecipazione attiva alla conservazione del patrimonio artistico italiano grazie ai finanziamenti che da esse ne derivano. 

Il Simbolismo è, al tempo stesso, un momento di chiusura al progresso e a una società dominata dall’imperio della quantità e di apertura per affermare una modernità che, sulla scia della poesia di Baudelaire, fa della resistenza al moderno il proprio segno di riconoscimento.  

Dal punto di vista figurativo, si avvia un recupero delle immagini di quel «paradiso perduto» identificato nella pittura dei primitivi italiani e, in generale, dei miti originari. Grande tramite di questa rivoluzione delle immagini è la letteratura, in cui il tema del sogno, del delirio indotto dagli oppiacei, della follia sembra unificare quella cultura europea che verrà rivoluzionata dal volume dell’Interpretazione dei sogni pubblicata da Sigmund Freud a Vienna nel 1900. 
Ne deriva il recupero della dimensione onirica, del mondo eroico della mitologia, di temi scabrosi come l’amore erotico, la morte e il peccato. 

Promossa dal Comune di Milano-Cultura e prodotta da Palazzo Reale, 24 Ore Cultura - Gruppo 24 Ore e Arthemisia Group, la mostra è a cura di Fernando Mazzocca e Claudia Zevi in collaborazione con Michel Draguet. 

FONTE: lastampa.it

lunedì 1 febbraio 2016

La Statale Arte: Durk, apre le porte all'arte armena


Un nuovo grande evento culturale dell’Università degli Studi di Milano propone l’allestimento di mostre personali di artisti italiani e stranieri nei cortili di via Festa del Perdono, trasformandoli in un museo di scultura all’aperto. Primo artista ospitato Mikayel Ohanjaanyan, con le sue opere in basalto per ricordare il genocidio del suo popolo


Con l’inizio dell’anno accademico alla Statale di Milano prende il via anche un’iniziativa che pone l’arte contemporanea al centro degli interessi e dei meravigliosi spazi dell’Università. “La Statale Arte”, questo il nome del progetto, è un’operazione triennale, che prevede due mostre di scultura l’anno. Tutti gli artisti invitati saranno chiamati a realizzare un’opera in “site-specific”, quindi pensata per dialogare con il luogo che la ospita, ma anche con gli studenti che frequentano e praticano i loggiati e i cortili seicenteschi. Per il primo intervento, che rimarrà esposto fino al 19 marzo, è stato invitato un giovane artista armeno, Leone d’oro con il padiglione dell’Armenia alla 56esima Biennale di Venezia: Mikayel Ohanjaanyan.  

Nato a Yerevan nel 1976, dove ha frequentato la State Accademy of Fine Arts, è molto legato all'Italia: si è trasferito nel nostro Paese nel 2000, per laurearsi nel 2005 alla Accademia di Belle Arti di Firenze e ha poi deciso di fermarsi a vivere e a lavorare nel capoluogo toscano.  L’installazione pensata per la Statale, dal titolo "Durk " è la sua prima personale milanese. Presenta due enormi massi, piuttosto regolari, segnati da solchi, nei quali passano le corde che li sostengono, mentre poggiano in equilibrio sulla base di uno spigolo. La pietra usata è il basalto, l'artista lo ha scelto come simbolo del suo Paese, perché è molto diffuso. "Esprime un senso di appartenenza - ha spiegato l'artista – da rimarcare con forza nella ricorrenza del centenario del genocidio del popolo armeno da parte dell'esercito turco". Così, dopo l’esposizione sull’isola di San Lazzaro a Venezia, la scultura di Ohanjanyan torna a confrontarsi con un’architettura che aiuta a meditare, a contemplare e a riflettere sul passate e sul presente.

“L’idea di inaugurare il progetto "La Statale Arte" con Ohanjanyan è stata proprio dettata dalla consapevolezza del suo sapersi relazionare con l’architettura circostante: l’opera di Mikayel sembra sentire particolarmente il ritmo dello spazio esterno e ne sa proporre uno proprio. I segni rigorosi delle sue sculture e la sua sapienza tecnica sono poi il risultato di una profonda riflessione in ultima analisi sull’uomo, indagine in cui la sua storia personale si intreccia ad echi del paesaggio e della cultura armena”, ha sottolineato la curatrice del progetto, Donatella Volontè. "Dur", in armeno antico significa ‘porta’, e le due sculture rappresentano un omaggio alla musica, rappresentano il lato plastico di una dimensione dissonante, simbologia che utilizza un codice linguistico che Ohanjanyan propone per creare sintonia tra l’architettura storica dell’Università degli Studi e le linee geometriche contemporanee che trovano appoggiano sull’antichità. "Durk", continua la curatrice: “E’ un lavoro creato appositamente per il loggiato del cortile seicentesco: è costituito da due strutture cubiche tenute in equilibrio da un piccolo cubo posto al centro dello spazio che intercorre fra loro: ha uno sviluppo orizzontale, opposto alla verticalità delle colonne che lo inquadrano, ed è un’indagine sulla tensione e sugli equilibri, sulla staticità e sulla dinamicità”.

Nel cortile d’onore si incontra invece “Tasnerku + 1” (dodici +1), posta lungo la diagonale est/ovest, è la versione ampliata di "Armenity",  realizzata  per la mostra al padiglione Armeno della Biennale, curata da Adelina von Fürstenberg. Da dodici gli elementi sono passati a tredici, per comporre un numero primo e proseguire in senso unitario un ciclo che continua ad essere attivo e vitale.

FONTE: Valentina Tosoni (repubblica.it)